Benevento, 13-07-2025 09:11 |
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A distanza di alcuni giorni dalla scomparsa di Antonio Pietrantonio, Peppino De Lorenzo gli scrive una lettera aperta
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Nostro servizio |
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A distanza di alcuni giorni dalla scomparsa di Antonio Pietrantonio, sindaco della città per più di un decennio, nel momento in cui la tranquillità, dopo lo stupore dinanzi alla triste notizia, corsa di bocca in bocca, ha preso il sopravvento, confortata da un sereno ricordo, Peppino De Lorenzo scrive una lettera aperta allo scomparso.
Come sempre, tralasciando di descrivere meriti ed iniziative realizzate da Pietrantonio, si sofferma su ricordi personali che lo legano al sindaco andato via, non facendo accenno alcuno alla politica.
"Caro sindaco, qualche giorno fa, dinanzi alla tua bara nella chiesa di Santa Maria della Pace e di Santa Rita, d'improvviso, un'ondata di ansia incontrollabile mi ha travolto.
La nostra amicizia, sorta solo alcuni anni fa, quando entrambi avevamo lasciato l'agone politico, è stata sincera, pura, in definitiva, di altri tempi, proprio perché non contaminata dalla politica.
I miei rapporti con te, nel corso del tempo, erano stati sempre oltremodo fugaci.
Tra l'altro, nel periodo in cui tu eri impegnato nelle istituzioni, ricoprendo, come si sa, il ruolo di sindaco della città, io non mi interessavo di politica, né prevedevo che, a breve, vi avessi fatto parte.
Conservo solo, ancora oggi, la registrazione di un incontro televisivo che, molti anni fa, avemmo insieme con il sempre caro Annio Majatico (nella prima foto in basso), all'emittente "Teleluna", di cui ero direttore responsabile.
Poi, mai un contatto tra noi due.
In un afoso pomeriggio dell'estate 2019, la mia segretaria di studio mi annunciò una tua telefonata.
Tu, dall'altro capo del telefono, con voce pacata: "Dottore, sono Antonio Pietrantonio. Gradirei parlarle a viva voce. Le mie attuali condizioni motorie mi impediscono, però, i movimenti. Come possiamo fare?"
Ed io, senza esitare: "Sindaco, domani mattina, alle 10.00, sarò da lei. Si impegni, però, a farmi trovare un buon caffè".
In questo modo, con la mia incarnata puntualità, in anticipo, alle 9.45, suonai il campanello di casa tua.
Con sincerità, devo ammetterlo ancora oggi, non immaginavo, mi si creda, di vivere un incontro meraviglioso che avrebbe sancito un'amicizia durata per sei anni, fino ad oggi.
Da subito, malgrado tu colpito nella deambulazione, a stento realizzata con l'ausilio di bastoni, non avevi, di certo, smarrito lo spirito vitale, l'intelligenza lucida, la mente vivissima.
Rimasi, da subito, colpito dalla tua incarnata pacatezza nell'argomentare, il rispetto e la disponibilità verso l'interlocutore, la convinta conoscenza delle situazioni e delle persone.
Ricorderò sempre il fascino di quell'incontro e la dolcezza della tua espressione, doti, queste ultime, rimaste intatte anche nei successivi contatti di questi anni (nella foto di apertura, Antonio Pietrantonio e Peppino De Lorenzo in uno degli ultimi incontri).
Quel giorno, abbracciandoci e convenendo, reciprocamente, di darci il tu, per rendere, in questo modo, più agevole il colloquio, prima di iniziarlo, mentre da parte mia, cercavo di comprendere il motivo di quell'invito, da subito, mi mostrasti la copia, gelosamente custodita, del ricordo da me scritto 41 anni prima, nell'ottobre 1978, su "Messaggio d'Oggi", in morte di don Emilio Matarazzo (nella seconda foto in basso, l'articolo su "Messaggio d'Oggi").
Rimasi sorpreso e, di qui, tu iniziasti il tuo discorrere, mentre io, incuriosito, ti davo ascolto, con piacere immenso.
"Vedi, mi dicesti, come tu scrivesti nell'articolo che ti sto mostrando, che io ho conservato, argomento che, poi, hai ripreso nel tuo libro pubblicato lo scorso anno, "Quarant'anni tra le sbarre", sei il giovane medico di allora che accolse l'ultimo anelito di vita di don Emilio Matarazzo (nella terza foto in basso le spoglie mortali di don Emilo Matarazzo).
L'unica cosa che hai sempre dimenticato è il fatto che fui proprio io, all'epoca ero consigliere comunale e non ancora sindaco, ad accompagnarlo in ospedale, ove trovammo te, assistente di neuropsichiatria di turno, che non lo lasciasti un solo momento, in quei lunghi ed interminabili tre giorni. Tutto questo io non l'ho dimenticato".
Dopo tu ricordasti, scendendo nei particolari, il comportamento assunto dall'allora arcivescovo Raffaele Calabria che ostacolò con ogni mezzo la realizzazione del Centro "La Pace", programmato da don Emilio Matarazzo.
Addirittura, tu aggiungestI che: "Nell'apprendere dell'accidente vascolare che lo aveva colpito, Calabria precisò che a quel prete non lo avessero annientano neanche le bombe.
Non ascoltare De Lorenzo, è troppo giovane e, quindi, ancora inesperto".
Ecco perché, e tu lo ricordavi bene, che non gradivo la presenza di Calabria in quella stanza dell'Ospedale.
Ero giovane, non conoscevo ancora la tolleranza odierna, frutto degli anni. Per questo, rimanevo stupito dinanzi alle ripetute visite dell'arcivescovo che, nei mesi addietro, fortemente, lo aveva contestato.
In quei giorni avrei gradito restare da solo con don Emilio, stringere le sue mani tra le mie, fargli avvertire l'ultima certezza del calore umano.
Quando gli abbassai le palpebre per sempre, gli sussurai: "Don Emilio, verrà il tempo in cui il destino le renderà giustizia".
Quel giorno, poi, a casa tua, tu, sindaco, continuasti: "Devi sapere che ho frequentato il Liceo Scientifico "Rummo". Come tanti professionisti, sono stato allievo di tuo padre, Giovanni De Lorenzo.
Di lui ho un ricordo meraviglioso. Per me è stato, principalmente, maestro di vita. Quando, con tuo padre, ho conseguito la maturità scientifica, non avevo la somma per iscrivermi all'Università. In questo, mi aiutò don Emilio.
Ecco perché il mio sapere lo devo a tuo padre, mentre il raggiungimento della laurea a don Emilio".
A questo punto, mi chiedesti di collaborare al fine di recepire l'intera somma, buona parte di quest'ultima, spontaneamente, l'avevi già messa tu, per permettere il trasferimento delle spoglie mortali di don Emilio dal cimitero di Foglianise al Centro "La Pace".
Caro sindaco, dall'incontro di quell'estate 2019, poi, con te ho collaborato fino a quando, nel corso di una semplice cerimonia, il giorno 8 ottobre 2020, la spoglie mortali furono traslate da Foglianise, appunto, alla Grotta del Getsemani, all'interno del Centro "La Pace".
Tutto merito tuo (nella quarta e quinta foto in basso, alla cerimonia al Centro "La Pace" prima De Lorenzo e poi Pietrantonio).
Noi due ci siamo spesso rivisti ed i nostri contatti sono rimasti vivi.
Sarebbero, oggi, tanti i fatti da ricordare di cui parlavamo nel corso delle mie visite a casa tua.
Sono venuto da te sempre con immenso piacere. Era in programma, in queste settimane, una ulteriore visita con Fioravante Bosco.
Non abbiamo avuto il tempo.
Devi sapere che finanche la mia segretaria che, oggi, è la mia ombra, che accolse la tua prima telefonata nel 2019 e che spesso è venuta da te per portarti documenti e miei scritti, era rimasta colpita dalla tua dolcezza e dalla cortesia con cui la ricevevi (nella sesta foto in basso, la storica segretaria di De Lorenzo, Monica Cella).
L'altra sera, con voce tremante, mi ha telefonato dicendomi: "Dottore, è morto Pietrantonio!".
Questo sei stato tu, caro ed indimenticabile amico.
Ti sono grato per l'affetto che mi ha dato e, in questo momento, ringrazio il destino che, nel corso della vita, intensamente vissuta, mi ha permesso di conoscere e frequentare, tra amici e pazienti, tantissima gente.
Non lo so, tu sapevi che ho sempre nutrito qualche dubbio in proposito, ma, ora che sei in un luogo migliore di quello terreno, qualora tu abbia ad incontrare don Emilio e mio padre, descrivi loro l'affetto che a me ti ha unito. Ne saranno entrambi contenti.
Ciao, sindaco."
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