Benevento, 03-03-2025 16:06 |
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Una riforma costituzionale non nasce come Minerva dalla testa di Giove. Puo' essere o meno apprezzata ma e' coerente e legittimata dalla Costituzione
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di Vincenzo Baldini, docente di Diritto Costituzionale |
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Ha suscitato un evidente clamore lo sciopero di qualche giorno fa dei magistrati in segno di protesta contro la novella costituzionale che determina la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente.
Chi scrive ha avuto modo di partecipare ad un simposio su tale tematica organizzato in concomitanza con lo sciopero e svoltosi nell'Aula di un Tribunale di questo Paese, adibita per l'occasione a sede dell'evento.
Tra le motivazioni esposte contro tale riforma, la difesa della Costituzione e dello stato di diritto, la difesa del ruolo della magistratura quale freno allo "strapotere della politica" (testuali parole di alcuni magistrati), la tutela di diritti e libertà fondamentali, infine, la resistenza ad un disegno strategico volto a indebolire lo stesso potere giudiziario.
Va da sé che una riforma costituzionale non nasce come Minerva dalla testa di Giove: Se una maggioranza parlamentare decide di modificare alcuni profili di uno dei architravi fondamentali dell'organizzazione dello Stato democratico, non lo fa con il velo dell'ignoranza. Essa intercetta difficoltà o malesseri più o meno diffusi e li converte in una proposta politica, che è la risposta a tale domanda.
Tale proposta, con il sostegno delle maggioranze sancite nella stessa Carta (articolo 138 Costituzione), diventa poi legge costituzionale e diritto vigente.
In generale, una soluzione legislativa può essere apprezzata come di gradimento o meno, altro rispetto a questo, è invece una considerazione della stessa proposta dal punto di vista della coerenza e legittimità costituzionale.
Nello specifico, con tale riforma si intende procedere ad una (differente) razionalizzazione dell’ordine giudiziario ricorrendo alla separazione delle carriere, rispettivamente, di magistratura giudicante e requirente.
Risale, invero, ad un tempo piuttosto remoto l'auspicio politico diffuso per la costruzione di una più chiara linea di distinzione tra i due corpi magistratuali, giudicante e requirente, all'interno del medesimo potere.
Una prima forma di razionalizzazione, in tale direzione, ha costituito la legge delega numero 150/22 ed il successivo Decreto Legislativo numero 160/06, che ha disciplinato il transito dei magistrati da una funzione all’altra.
L'attuale proposta di revisione costituzionale configura, così, un secondo livello di tale impegno razionalizzatore, approdando ad una separazione delle carriere all'interno, in ogni caso, del medesimo e unico potere giudiziario.
In quest’ordine di idee, non è del tutto peregrino chiarire preliminarmente alcuni aspetti essenziali attinenti a tale riforma.
Innanzitutto, essa non tocca l'articolo 101 Costituzione che, come è noto, sancisce il vincolo di subordinazione del giudice alla sola legge, assicurandone l'emancipazione da condizionamenti e direttive provenienti del potere esecutivo e amministrativo.
Tale previsione si pone a principale presidio della garanzia del principio di indipendenza del giudice (del solo magistrato che svolge funzione giudicante), della sua autonomia nell'interpretazione del diritto, che ne preclude l'inquadramento in un assetto gerarchizzato rendendolo, così, un pilastro indefettibile nella costruzione dello stato costituzionale di diritto.
Inalterata resta anche l'intera previsione dell'articolo 107 Costituzione (salvo il riferimento ai due Consigli, invece che all'uno solo e unico), a partire dal principio di inamovibilità del giudice, così come, del pari, la norma dell'articolo 112 Costituzione che sancisce l'obbligo in capo al pubblico ministero di esercizio dell'azione penale.
La novella costituzionale (articolo 104 Costituzione) statuisce espressamente, all'interno dell'unica magistratura quale "ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere", la presenza di "magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente".
Essa formalizza, così, con l'efficacia massima della norma costituzionale, anche l'indipendenza del corpo requirente (dei pubblici ministeri), separandolo del tutto dalle influenze del potere esecutivo.
Tale garanzia d'integrità dello stato di diritto e di indipendenza della magistratura non può ritenersi indebolita o dimidiata dalla previsione in sé di due Consigli al posto dell’unico ora esistente, entrambi posti peraltro sotto la presidenza del capo dello Stato.
Valga, per tutte, la considerazione che le due Assise sono esclusivamente funzionali alla garanzia di indipendenza di entrambi i corpi magistratuali, come oggi lo è il Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) per l'intero ordine giudiziario (articolo 104 comma 2, novella Costituzione).
Del resto, anche ai fini dalla sua composizione resta escluso ogni apporto, seppure indiretto, del potere esecutivo.
Nemmeno l'istituzione di un'Alta Corte disciplinare al posto dell’attuale sezione di disciplina interna al Csm, per il controllo sulla responsabilità disciplinare dei magistrati, può essere declinata come un indebolimento dell'autonomia del potere in questione.
Peraltro, non può fare a meno di segnalarsi, per chiarezza scientifica, che in diversi ordinamenti democratici europei difetti l’esistenza di una assise di autogoverno della magistratura (Germania, Austria, Portogallo) come, d'altro verso, la garanzia di una piena indipendenza del pubblico ministero da influenze dell'Esecutivo (Francia).
Del pari è a dirsi per l'Alta Corte disciplinare, presente anche in altri Paesi europei (Germania).
L'introduzione di questo nuovo giudice speciale (quale certo sarà l'Alta Corte), in deroga alla previsione dell'articolo 102 comma 2 Costituzione, non lascia insorgere alcuna perplessità nemmeno di ordine giuridico-formale, in ragione dell'impiego della legge di revisione costituzionale.
Senza insistere nella comparazione paradigmatica, tali richiami valgono solo a evidenziare come in relazione alla garanzia dello Stato di diritto, fatto salvo, si è detto, il principio dell'indipendenza del giudice (in senso stretto), la posizione degli altri organi, dal Csm al pubblico ministero, non integra il novero degli elementi indispensabili all’effettività di tale assetto organizzativo.
Dunque, rientra nella piena discrezionalità del legislatore costituzionale democratico conferire a questi ultimi una diversa caratterizzazione.
Per concludere, due ulteriori considerazioni.
La magistratura, ad avviso di chi scrive, non ha il compito specifico di difendere la Costituzione e lo Stato di diritto dalle prevaricazioni della politica perché in un ordinamento costituzionale come il nostro "ogni" potere è chiamato a difendere ed osservare la Costituzione.
Non c'è, in effetti, "un" custode della Costituzione come non sussiste un potere giudiziario antagonista del potere politico democratico che è riflesso istituzionale della sovranità del popolo (articolo 1 Costituzione).
Al giudice è assegnato il compito, nobile e impegnativo, di far rispettare la legge, di punirne le trasgressioni, di garantire sempre e comunque una tutela al singolo per le violazioni dei diritti fondamentali e di libertà.
Aggressioni e delegittimazioni della politica, da qualunque parte delle istituzioni pubbliche provengano, comportano alla lunga una erosione dello Stato di democrazia, i cui effetti sono abbastanza visibili già oggi nell'esperienza di autoritarismo politico in cui versano alcuni ordinamenti europei.
Tale erosione è dovuta, tra l'altro, all'inosservanza generalizzata di due regole non scritte di sistema, vale a dire il rispetto reciproco e la prudenza istituzionale.
Sarebbe ora che ogni potere e istituzione dello Stato tornasse a renderle attuali, altrimenti si rischia di pagare un prezzo altissimo alla litigiosità istituzionale.
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