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Benevento, 21-07-2024 09:23 ____
Avrei voluto restare solo con lui, stringere le sue mani tra le mie fargli avvertire l'ultima certezza del calore umano. Mori' convinto di essere solo
Peppino De Lorenzo ricorda gli ultimi momenti di vita di don Emilio Matarazzo. Grazie alla sua intuizione oggi e' sorto il Centro "La Pace" dove si e' riunita quella Chiesa che all'epoca, oltre 40 anni fa, lo osteggio' fortemente. Monsignor Accrocca sta oggi facendo giustizia. L'Azienda Ospedaliera potrebbe intitolare la stanzetta in cui mori' alla memoria del grande sacerdote
Nostro servizio
  

Peppino De Lorenzo, che, spesso, anche nei suoi libri, ha scritto di don Emilio Matarazzo (nella foto i resti mortali) e del Centro "La Pace" da questi voluto, ritorna a fare, ancora una volta, delle sue considerazioni, dopo l'incontro in quella sede organizzato dalla Chiesa.
In questa occasione, testimone indiscusso l'ex sindaco Antonio Pietrantonio, aggiunge un episodio, ad oggi, volutamente, mai citato.
Ancora, rivolge un invito al direttore generale dell'Ospedale "Rummo", Maria Morgante.
"Con il recente incontro organizzato e voluto al Centro "La Pace" da monsignor Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, cui hanno partecipato una trentina di vescovi di 14 regioni, con il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Matteo Zuppi, con libertà di pensiero, avverto lo stimolo, sempre vivo e presente, di ricordare quella che è stata l'origine del Centro ideato, con tenacia, da don Emilio Matarazzo.
L'odierna circostanza mi spinge a descrivere un episodio di cui fu testimone l'ex sindaco Antonio Pietrantonio che, sicuramente, lo ricorderà e del quale, or non è molto, ho avuto modo di parlare con lui.
Episodio, appunto, che ho sempre, fors'anche volutamente, taciuto quando ho scritto della realizzazione del Centro, sia su "Messaggio d'Oggi" che su "Gazzetta di Benevento, nonchè nei miei libri. E, poi, un invito al direttore generale del "Rummo", Maria Morgante.
Non è mia intenzione, quindi, sia ben chiaro, ritornare a descrivere le motivazioni dell'incontro di questa settimana, ampiamente escusse da "Gazzetta", né parlare ancora della figura indimenticabile di don Emilio Matarazzo.
No, niente di tutto questo.
La caparbietà e la solerzia di mons. Accrocca è tale che Benevento, giorno dopo giorno, diventi sempre più un punto di riferimento della Chiesa Italiana.
Valutando appieno ciò che si sta verificando, sorge, mi sia concesso, spontaneo un monito che deve aiutare tutti noi nell'impervio cammino della vita quotidiana. Ed è quello di non affannarci oltre il dovuto, né soffrire più di tanto dinanzi alle disavvenure della vita.
Il necessario è essere con la coscienza tranquilla e, poi, sarà il tempo, giusto giudice, se necessario, a darci ragione.
Mons. Accrocca, fors'anche senza accorgersene, ci sta invitando a questa semplice, ma giusta riflessione.
Il Centro "La Pace", dopo l'idea iniziale di Matarazzo, nella concreta realizzazione, incontrò ostacoli enormi e, guarda caso, proprio dalla Chiesa.
Un giorno, oramai lontano, con tanta passione, don Emilio intese illustrare, nel corso di un pubblico incontro, la finalità umana di quella complessa iniziativa ad una folta platea, in una esposizione chiara e precisa, infondendo nelle sue parole umanità ed entusiasmo, doti insite nel suo carattere passionale.
Le autorità cittadine erano tutte presenti.
Il sindaco, Ernesto Mazzoni, il procuratore della Repubblica, Giuseppe Faraone, il questore, Aldo Arcuri, il prefetto, Filippo Mastroiacovo, il comandante dei Carabinieri, e tante altre figure istituzionali della città.
Unico assente, l'arcivescovo Raffaele Calabria che, sin dal primo momento, non gradì l'iniziativa ostacolandola con ogni mezzo.
Succede spesso. E' la realtà della vita.
Dopo qualche giorno, era il mese di ottobre 1978, vidi arrivare don Emilio al Pronto Soccorso, ivi trasportato da un'autoambulanza di servizio ed accompagnato da Antonio Pietrantonio che, all'epoca, non era ancora sindaco della città.
Un ictus cerebrale lo aveva colpito, in pieno benessere, a 49 anni. Era già in stato preagonico. La lotta contro la morte durò cinque interminabili giorni, senza che lui riprendesse più conoscenza.
Ero ai primi turni di guardia, dopo essere stato assunto in Ospedale.
Lo rivedo, ancora oggi, in quel letto, nella piccola camera in fondo al reparto, nel vecchio padiglione, ove allora era ubicata la divisione di neurologia.
Gli stetti vicino senza mai abbandonarlo. Ero giovane, non conoscevo ancora la tolleranza odierna, frutto degli anni, per questo, rimanevo stupito dinanzi alle ripetute visite da parte proprio dell'arcivescovo che, nei mesi addietro, sì fortemente, aveva ostacolato quel suo progetto innovatore.
Quanti attacchi, quanta amarezza per il povero don Emilio!
Morì, con tanta tristezza nel cuore, in una solitudine angosciosa.
Ricordo quando Antonio Pietrantonio telefonò all'arcivescovo per dargli la notizia dell'accaduto. Secca la risposta di quest'ultimo: "Non dite fesserie. E chi lo ammazza don Emilio. De Lorenzo è troppo giovane".
Ci sono delle situazioni nella vita in cui non ci si sente a proprio agio. Ed io, in quella stanza, non ero a mio agio.
Avrei voluto restare solo con lui, stringere le sue mani tra le mie, fargli avvertire l'ultima certezza del calore umano. Morì convinto di essere solo.
Don Emilio ci aveva insegnato solo ad amare, in una terra, come la nostra, che è nata per farlo.
Sobrio in ogni sua espressione, si apriva con tutti quelli che riteneva amici.
Uomo energico, schivo, modesto, per la innata convinzione che i valori della vita vadano materializzati con i fatti, che per lui erano stati la sua attività di parroco a Pontelandolfo, insegnante, la vita tra i baraccati al rione Libertà dopo il terremoto, la feconda passione per le iniziative culturali, la dedizione per i giovani ed i loro problemi, ed, in ultimo, il Centro di spiritualità "La Pace".
Ringrazio Antonio Pietrantonio per avermi voluto con lui, nell'ottobre 2020, quando c'è stata la traslazione dei resti di don Emilio, dal suo paese natale, Foglianise, ove inizialmente fu sepolto, al Centro "La Pace".
Quando, quel giorno di tanti anni fa, in quella stanzetta del "Rummo", io, giovane medico alle prime armi, gli chiusi gli occhi per sempre, carezzandolo per l'ultima volta, gli sussurai: "Il tempo le renderà giustizia".
Ecco, iniziativa dopo iniziativa, oggi, monsignmor. Felice Accrocca sta dando giustizia a quell'indimenticabile uomo di Chiesa.
Da allora, i miei rapporti con Calabria, prima vivi, si incrinarono.
Il vero don Emilio, ancora oggi, noi amiamo andarlo a ricercare in quel suo incessante desiderio di tendere, generosamente, la mano a quanti pativano il dramma pietoso dell'umana convivenza.
Per concludere, in questa particolare circostanza, gradirei rivolgere un invito all'attuale direttore generale del "Rummo", Maria Morgante.
Quello di intitolare quella stanzetta a don Emilio. Se non erro, oggi, lì c'è il reparto di Ematologia.
In quella stanza che, poi, divenne del medico di guardia, ho trascorso tante notti e molti erano i discorsi che continuavo, in solitudine, ad avere con il mio don Emilio.
Sarebbe questo un atto degno di lode".

comunicato n.165194



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