Nella notte tra il 19 e il 20 dicembre del 69 d.C., Roma visse uno dei momenti piu' drammatici della sua storia
Domiziano, Iside e la notte in cui la citta' eterna brucio'. Conoscere quella notte aiuta a capire meglio Domiziano. Non spiega il tempio di Benevento, ma illumina il percorso umano e religioso di un imperatore che, fin dall'inizio, aveva incrociato il culto di Iside in uno dei momenti decisivi della propria vita, ci ricorda Marcellino Aversano
Redazione
Domiziano, Iside e la notte in cui Roma bruciò è il titolo dell'intervento inviatoci da Marcellino Aversano (foto).
"Nella notte tra il 19 e il 20 dicembre del 69 d.C., Roma - scrive - visse uno dei momenti più drammatici della sua storia.
Era l'epilogo dell'"anno dei quattro imperatori", quel longus et unus annus che aveva lacerato l'Impero con guerre civili e lotte per il potere.
Sul Campidoglio, cuore religioso e simbolico dell'Urbe, si consumò uno scontro violento tra i sostenitori di Vitellio e quelli di Vespasiano.
A guidare il fronte flavio era Tito Flavio Sabino, fratello maggiore di Vespasiano.
Incapace di resistere all’assalto dei vitelliani, Sabino cercò rifugio sul Campidoglio insieme ai figli e al giovane nipote Domiziano, convinto che quel luogo sacro potesse offrire protezione.
Fu una scelta fatale: il Campidoglio venne dato alle fiamme, non è escluso che l'incendio sia stato appiccato dagli stessi flaviani e Sabino fu catturato e ucciso.
In mezzo al caos, al fumo e alla violenza, Domiziano riuscì a salvarsi.
Le fonti antiche raccontano che si travestì da sacerdote di Iside e, confondendosi tra i seguaci di quel culto orientale, riuscì a fuggire inosservato.
Svetonio parla con disprezzo di una "vana superstizione", ma proprio quel travestimento gli salvò la vita.
Tacito e Svetonio non concordano sull'identità di coloro che gli offrirono rifugio, ma concordano su un punto essenziale: Domiziano seppe attendere con prudenza che gli eventi volgessero a suo favore.
L'attesa fu breve. Il giorno successivo, il 21 dicembre, Vespasiano venne acclamato imperatore.
Ancor prima che il nuovo princeps facesse il suo ingresso ufficiale a Roma, Domiziano ricevette il titolo di Cesare e l’incarico di praefectus Urbi con potestà consolare.
Era il 70 d.C. Nel 71 ottenne il suo primo consolato suffetto. Ne seguirono molti altri, fino a raggiungere il numero eccezionale e mai più eguagliato, di diciassette consolati.
Ricordare oggi Domiziano a partire da quella notte non significa leggere il tempio di Iside di Benevento come una celebrazione di quell'episodio.
Non possediamo fonti che colleghino direttamente il santuario beneventano alla fuga del 69 d.C., né che lo presentino come un monumento votivo legato a quel momento preciso.
Quell'episodio, però, aiuta a comprendere il rapporto personale e duraturo che Domiziano ebbe con il culto di Iside.
Già in giovane età, in una delle ore più pericolose della sua vita, egli fece esperienza diretta della forza simbolica e protettiva di quel culto, al punto da servirsene per salvarsi.
Da imperatore, Domiziano mostrò una particolare attenzione per le divinità egizie, promuovendone la diffusione e l'integrazione nel quadro religioso romano.
In questo contesto va collocata anche la costruzione del tempio di Iside a Benevento.
Non come memoria di una notte di fiamme sul Campidoglio, ma come espressione di una più ampia politica religiosa e culturale, in cui i culti orientali trovarono spazio all'interno dell'ideologia imperiale flavia.
Il santuario beneventano va dunque letto come il frutto di una scelta matura, politica e religiosa insieme, non come il riflesso diretto di un episodio giovanile.
Tuttavia, conoscere quella notte del dicembre del 69 d.C. aiuta a capire meglio Domiziano.
Non spiega il tempio di Benevento, ma illumina il percorso umano e religioso di un imperatore che, fin dall'inizio, aveva incrociato il culto di Iside in uno dei momenti decisivi della propria vita".
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