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Benevento, 24-11-2024 09:15 ____
Nel momento in cui ho incominciato a scrivere di colleghi medici scomparsi, si e' verificato qualcosa di emozionante
Un vissuto bellissimo che sto vivendo con immensa partecipazione. Mi riferisco ai figli e familiari di medici ed operatori della sanita' che non ci sono piu'. D'improvviso, mi sono ritrovato, principalmente, dinanzi ad un folto gruppo di giovani di una sensibilita' ed amore verso i genitori che credevo non esistessero piu', commenta Peppino De Lorenzo
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Peppino De Lorenzo, questa settimana, si sofferma, volutamente, a fare un'analisi dei ricordi domenicali, relativi a personaggi e storie della nostra comunità, che fa su "Gazzetta", facendo delle riflessioni personali.
"Sono in molti a sostenere che i giovani d'oggi, nella stragrande maggioranza, siano privi di valori ed orfani di ideali. Nulla, a mio parere, di più inesatto.
Tra le tante esperienze che ho avuto modo di fare ricordando, oramai da anni, puntualmente ogni domenica, su "Gazzetta", personaggi e storie della nostra città, in questi ultimi tempi, una in particolare, che riguarda, principalmente, i giovani, ha sollecitato il mio interesse.
Nel corso della presentazione, qualche mese fa, dei primi due volumi della collana "Gente di Benevento", al Teatro Comunale, gremito in ogni posto, a ragione, Roberto Costanzo (prima foto in basso nel corso del convegno), con l'acume critico e la finezza dell'eloquio che contraddistinguono la sua figura di altri tempi, tra l'altro, ebbe a ribadire che, in un momento della nostra vita, tanto distratto, l'interesse che il lettore dimostra nel ricordo di eventi della città, lascia sperare.
In sostanza, a suo dire, è residuato, e non completamente smarrito, l'amore per la propria terra.
Ricordando personaggi della città, ho avuto l'occasione di avere contatti con tanta gente, anche persone a me sconosciute.
Bellissimo, tra i tanti, è stato rivedere Giovina Iorizzo, oggi novantenne, già primario anestesista del "Rummo"; riprendere i contatti con i componenti la famiglia Delcogliano, Felicita in primis, sorella di Raffaele, miei parenti, con i quali ho trascorso l'infanzia; avere, puntualmente, al mattino di ogni domenica, una piacevole telefonata dall'assistente sociale, oggi in pensione, Mariolina Addabbo; e tanti altri eventi, uno più bello dell'altro, che, qui, sarebbe difficile elencare tutti.
Molto sentito l'incontro, avvenuto, di domenica, nel mio studio, tra persone legate da un vincolo particolare, che oggi, si sono conosciute. Ed un mio articolo ha suscitato il loro interesse.
Nel momento, poi, in cui ho incominciato a scrivere di colleghi medici scomparsi, e di molti dovrò ancora parlare, con i quali ho vissuto esperienze particolari, si è verificato qualcosa di emozionante.
Un vissuto bellissimo che sto vivendo con immensa partecipazione.
Mi riferisco ai figli e familiari di medici ed operatori della sanità che non ci sono più.
D'improvviso, mi sono ritrovato, principalmente, dinanzi ad un folto gruppo di giovani di una sensibilità ed amore verso i genitori che credevo non esistessero più.
Alcuni protagonisti di questa meravigliosa storia, oggi, sono loro stessi genitori.
Sembrano quasi figli di un altro tempo, un'era lontana, forse del passato, forse del futuro.
Questi ragazzi li ho sentiti miei figli ed attraverso ognuno di loro, nel corso di piacevoli e lunghe conversazioni, o messaggi, ho rivissuto i momenti indimenticabili avuti con i genitori,
Elena, Rosamaria, Monia, Rita, Enrica, Chiara, Anna, Sonia, Marcello, Susy, Nanni, Alessia,per citarne alcuni, hanno reso vivi i pochi momenti di libertà dal lavoro.
Non ho nostalgia di nulla. Mi è solo apparso piacevole rivedere nella memoria, attraverso loro, i medici con cui, nel corso della vita, ho intessuto rapporti, spesso imparando tante cose.
Perché, nell'esistenza, non contano i passi che si fanno, ma le impronte che si lasciano.
Il passato, qualora intensamente vissuto, è simile ad un libro del quale, ogni giorno, si apre una pagina.
Questi giovani, questi familiari, e so che ne verranno ancora quando ricorderò altri colleghi, senza volerlo, hanno dimostrato, con il loro agire, il potere magico che il passato esercita sull'animo umano.
Persone, forse cadute nell'oblio, irrompono così furtivamente nella mente, fatta tremula da un tenue velo nostalgico e di dolce rimpianto.
E' il miracolo della memoria che, quale filtro di finissima grana, ritiene le scorie dei ricordi e rimanda purificati uomini e cose.
Così il passato ipoteca il presente, reso quasi sterile al confronto e pressocchè privo di mordente.
In questo modo, l'uomo, inconsapevole, si lascia cullare da fantasime e desideri repressi e neppure sospetta che quello che oggi irride e neglige, avrà, un giorno, parimenti a rimpiangere.
Attraverso questi giovani sto rivivendo quel modello di mondo medico, con le sue luci e le sue ombre, che mi piaceva tanto, che, oggi, è mutato e rivedo con rimpianto.
Allo stato, un'altra realtà che non avrei mai immaginato scuote, le cui sorti future non riesco ad intravedere.
Quanto si assiste in questi anni nella sanità non è solo una vergogna, è deplorevole.
Qui, però, c'è di mezzo la salute della gente, della gente qualunque che non può permettersi il lusso di una clinica privata e che, se ha bisogno di una Tac o di una Risonanza Magnetica, di una Scintigrafia Ossea, che non sono esami di routine, ma indagini diagnostiche spesso rivelatrici di gravi patologie, deve aspettare anche un anno.
Nelle parole di questi figli di colleghi, ci sono la mia professione, paure, vittorie, amarezze e le lotte per una sanità migliore.
E' lì, tra di loro, quasi per un'azione rigenerante, lontano dal mondo d'oggi, così urlato e volgare, che mi sono, appunto, ritrovato.
Dalla vita, del resto, ho avuto molto di più di quanto mi aspettassi.
Nel Teatro Comunale c'erano anche loro, ragazzi meravigliosi.
Non dimenticherò mai il momento in cui, facendosi largo tra la gente, Elena De Vita, che non conoscevo, figlia del compianto Guglielmo, medico del Pronto Soccorso, è salita sul palco consegnandomi, spontaneamente, un fascio di fiori, con un biglietto (foto di apertura).
L'unica certezza è che tanti medici, oggi scomparsi dalla scena del mondo, hanno fatto il loro dovere fino in fondo.
Il piacere dell'onestà, questo almeno, alcuno può toglierlo.
Del resto, significativa, quella sera, è stata la frase pronunciata dall'arcivescovo Felice Accrocca, presente alla cerimonia (seconda foto in basso), quando, tra l'altro, ha detto: "Se qui, ora, c'è tantissima gente, il merito deve essere ascritto al dottore De Lorenzo per l'affetto che riesce a riscuotere tra le persone e, segnatamente, tra i suoi pazienti".

 

comunicato n.167480




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