Don Emilio Matarazzo in veste di cappellano del lavoro svolse la sua azione pastorale anche al servizio dei giostrai e dei circensi
Lavorava molto e la cosa che mi colpiva di lui erano le scarpe che ricordo sempre bagnate e sempre sporche di fango. Ogni giorno tornava alla sua baracca all'ora di pranzo e mai che avesse qualcosa di pronto e di caldo da mangiare. I miei nonni materni che gli abitavano vicino presero quasi ad adottarlo e con benevolo rigore lo rimproveravano di pensare a tutti e mai a se stesso. Mio nonno Benedetto, fu anche lui finanziatore del progetto del Centro "La Pace" con un piccolo contributo di 12.000 lire al mese. Domani, 8 ottobre, ricorre il 46esimo anniversario dalla morte del sacerdote
di Mena Martini
L'8 ottobre ricorre il 46esimo della morte di don Emilio Matarazzo al quale il Comune di Benevento anni fa dedicò il lungo Sabato della riva sinistra.
La targa lo indica come "Sacerdote - Educatore".
Ci sembra però molto riduttivo racchiudere in due sostantivi l'opera di questo prete che tanto ha dato alla nostra comunità nella sua pur breve esistenza (è la grave carenza della toponomastica beneventana se si considera che il grande storico e grecista monsignor Giovanni Giordano ha a lui intestata una stradina, senza uscita e senza case, con la targa che recita: "Giovanni Giordano. Monsignore", come se fosse il titolo di monsignore a dare la possibilità di vedersi intestata una strada cittadina... ndr).
Don Emilio nacque a Foglianise il 18 novembre 1928, venne ordinato sacerdote il 13 febbraio 1952, divenendo parroco di Pontelandolfo.
Ben presto però raccolse l'invito della Pontificia Opera di Assistenza (Poa) per portare sostegno morale e religioso agli operai delle piccole e medie aziende cittadine dell'epoca, mostrando notevole sensibilità anche per i loro problemi sindacali.
In veste di cappellano del lavoro svolse la sua azione pastorale anche al servizio dei giostrai e dei circensi che periodicamente arrivavano in città per le varie feste.
Battezzò i loro bambini, li avvicinò per la prima volta alla mensa eucaristica, li preparò alla cresima e regolarizzò parecchi matrimoni.
Fu professore di Storia e Filosofia al Seminario regionale e al liceo Classico "Pietro Giannone", nonché educatore di alcune generazioni di giovani.
Ciò per cui è maggiormente ricordato però è per aver ideato e fortemente voluto il Centro "La Pace".
Così scriveva don Emilio "...La Pace non sarà una casa di accoglienza semplice e fredda ma la testimonianza viva di certi principi. Non un ricovero per anziani, un albergo, un centro sportivo o ricreativo.
No, esso sarà invece una forma moderna di fare azione spirituale, sociale e culturale".
Quanti pensieri, quanto duro lavoro lo attendevano ma lui sereno e fiducioso proseguiva nel suo progetto sostenuto dai suoi amici, don Francesco Zerrillo, don Vincenzo De Vizia, il giudice Antonio Caturano e Antonio Pietrantonio, futuro sindaco della città, che per quel progetto si assunse notevoli responsabilità soprattutto sul piano economico e legale.
Inoltre molti suoi alunni andarono ad aiutarlo, trasportavano materiale con le cariole, scavavano, scaricavano mattonelle e per questo non erano assolutamente avvantaggiati con le interrogazioni caso mai del giorno successivo, nessuno sconto gli veniva riservato, anzi.
Personalmente ho avuto la fortuna di conoscerlo e parlargli più volte, in quanto nei primi anni '70 venne ad abitare a via Santa Colomba, alle spalle dello Stadio Meomartini, nell'unica baracca rimasta in piedi facente parte del villaggio costruito per gli alluvionati del 1949 e riutilizzato dai terremotati del 1962.
Lavorava molto don Emilio e la cosa che mi colpiva di lui erano le scarpe che ricordo sempre bagnate e sempre sporche di fango.
Ogni giorno tornava alla baracca all'ora di pranzo e mai che avesse qualcosa di pronto e di caldo da mangiare.
I miei nonni materni che abitavano lì vicino presero quasi ad adottarlo e con benevolo rigore lo rimproveravano di pensare a tutti e mai a se stesso.
Spesso accettava di dividere la loro semplice mensa a patto che nulla di speciale fosse preparato perché c'era lui.
Tante volte li ho visti seduti intorno al braciere a parlare davanti a due dita di buon vino.
Don Emilio esponeva i suoi progetti, i piccoli progressi nella costruzione e mio nonno Benedetto, finanziatore anche lui del progetto con un piccolo contributo di 12.000 lire al mese, lo guardava con stima e ammirazione ma soprattutto con quell’orgoglio con cui si guarda un figlio che sta facendo una cosa davvero speciale.
Tra loro due era nata una bella amicizia e ogni tanto don Emilio lo portava sulla collina per un sopralluogo e per un aggiornamento dello stato dell'arte.
Quando don Emilio in quegli anni accompagnò in America un nostro concittadino per un delicato intervento chirurgico, mandò una cartolina al nonno, una bellissima veduta di Manhattan, sulla quale scrisse: "Benedetto ricordati che tutti questi grattacieli non valgono un amico" e il nonno la custodì come una reliquia per molti anni.
Don Emilio riuscì a realizzare solo una piccola parte del Centro e non vide mai ultimata la sua opera perché morì l'8 ottobre 1978, prima di compiere 50 anni, e per noi quel giorno fu come perdere uno di famiglia.
Altre persone negli anni hanno continuato la costruzione della struttura ultimando quello che era il progetto originale.
Da cinque anni il responsabile del Centro è don Teodoro Rapuano, amico fraterno carissimo, creativo e instancabile che lo sta facendo diventare un vero gioiellino.
Il Centro è una piccola fabbrica di San Pietro, infatti si spostano sale, ciò che prima si trovava sotto il piano stradale emerge in superficie, vedi la chiesa Mater Ecclesiae, in un locale al primo piano si è realizzata la cappellina "Nozze di Cana", un rudere prospiciente la cucina è diventato la "Casa di Nazareth" con particolare attenzione agli arredi, infine poco alla volta si sta cercando di dare un aspetto più moderno alle camere.
Insomma, ogni giorno si impasta, si martella, si forgia, si tinteggia, si scava, si salda.
Infine, anche gli spazi verdi sono oggetto di cura con incremento di prati e siepi.
Da qualche anno i resti mortali di don Emilio, traslati dalla tomba originale di Foglianise, riposano nella grotta del Getsemani, sede naturale a custodirli e dalla quale lui sicuramente veglia sulla mastodontica opera.
Personalmente più volte mi ritrovo a pensare alla fortuna che ho avuto a conoscerlo oltre 50 anni fa ma soprattutto, cosa che non avrei mai immaginato, sono fiera di far parte, da quasi 5 anni, della squadra di volontari al servizio delle iniziative che si svolgono nel suo Centro.
Infine, colgo l'occasione per invitare chiunque abbia tempo libero a disposizione a venire al Centro come volontario, innanzitutto perché c'è sempre bisogno di una mano in più in una struttura tanto grande, dove c'è un continuo via vai di gruppi giovanili, ritiri spirituali, convegni e tanto tanto altro, ma poi, cosa non trascurabile, vi assicuro che se ne guadagnerebbe in serenità, gioia e... Pace.
comunicato n.166484
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