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Benevento, 24-05-2024 18:47 ____
Ancora una volta l'emergenza del bradisismo mettera' in moto una strumentalizzazione e non una saggia utilizzazione delle aree interne
E' la conseguenza degli errori e delle trascuraggini commesse negli ultimi sessant'anni sul territorio regionale dalla costa all'Appennino. Non si e' fatto altro che investire in infrastrutture pubbliche e strutture private lungo una fascia territoriale contenuta entro dieci chilometri dalla costa tirrenica...
di Roberto Costanzo
  

Presto dovremo chiederci se sono più gravi e irreparabili i dissesti e gli squilibri delle zone interne o quelli della fascia costiera e, in particolare, dell'area metropolitana di Napoli, messa in pericolo, quest'ultima, dal bradisismo dei Campi Flegrei e dal rischio sismico del Vesuvio (la ricostruzione dell'andamento del bradisimo ai Campi Flegrei, a partire dal IV secolo d.C. nel corso dei secoli fino ai tempi moderni è stata possibile grazie a osservazioni compiute sulle rovine di una costruzione di epoca romana, situata a poche decine di metri dal porto di Pozzuoli: il Serapeo qui nella foto dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia).
Va subito detto che non avremmo dovuto attendere questi paurosi movimenti tellurici per capire che la Campania è una grande e variegata regione, composta però da un territorio di difficile gestione, sia sul piano idro-geologico-ambientale che su quelli economico-produttivo e socio-urbanistico.
Da una parte, una gravissima desertificazione di residenze umane oltre che di attività produttive e di servizi pubblici, dall'altra un incontenibile addensamento urbanistico nonché di infrastrutture di servizi e strutture produttive, che certamente non sono la fonte degli sciami sismici, tuttavia possono rendere difficile la fuga e gli spostamenti di persone verso altre zone della regione, in caso di emergenza.
Qualcuno potrebbe dire che in questo caso le zone interne possono aiutare a risolvere il problema-esodo delle aree colpite dal sisma.
Difatti una decina di anni fa, quando si intensificarono gli studi sull'emergenza dissesti tellurici del Vesuvio e dei Campi Flegrei, si previde, tra l'altro, il trasferimento di circa mezzo milione di abitanti partenopei verso l'Appennino Campano oltre che verso la Lucania, il Molise e il Lazio.
Tutto previsto: Viabilità di scorrimento, quantità di persone, destinazione dell’esodo.
Questa è la conseguenza degli errori e delle trascuraggini commessi negli ultimi sessant'anni sul territorio regionale dalla costa all'Appennino.
Cioè negli ultimi decenni, non si è fatto altro che investire in infrastrutture pubbliche e strutture private lungo la fascia territoriale contenuta entro dieci chilometri dalla costa tirrenica.
Il risultato di questa mancata politica di assetto territoriale, quell'assetto territoriale di cui si parlò ampiamente nel 1968-1969 al Comitato Regionale per la Programmazione Economica (Crpe), può essere così sintetizzato: la provincia di Napoli, che si estende sull'8% della superficie regionale, è composta dal 53% della popolazione campana, con una densità di 2.500 abitanti per kmq; a fronte della situazione del Sannio formato da un'estensione che rappresenta il 15% della regione con un numero di abitanti pari al 5% della popolazione: cioè soltanto 125 abitanti per kmq qui nel Sannio contro i 2.500 per kmq nell'area metropolitana di Napoli.
Un eccessivo affollamento da una parte a fronte di un eccessivo sfollamento dall'altra.
Quali sono le cause di questi enormi squilibri e quali i costi e le conseguenze?
Chi ha la mia età ricorderà che cinquantacinque anni fa qualcuno (lo stesso Costanzo, in un suo libro ndd) sosteneva che la Campania non dovesse finire a Capodichino...
Distrazioni o precisi propositi di concentrazione su una parte e quindi senso di abbandono dell'altra parte, ritenuta, questa, improduttiva oltre che poco attrattiva.
Fu settant'anni fa che Manlio Rossi Doria, invano, parlò di Osso e di Polpa, per classificare l'area appenninica e la fascia costiera, sostenendo che in un corpo morto, destinato alla macelleria, l'osso è un peso rispetto alla polpa; mentre in un corpo vivo è l'osso che regge la polpa...
Secondo questa filosofia fu redatta la famosa relazione sull'assetto territoriale, presentata da Giovanni Travaglini al Crpe, che si basava sul "ribaltamento" dalla fascia costiera alle aree interne.
Vi sarà al Consiglio regionale di oggi qualcuno che abbia la voglia di rispolverare i documenti del Crpe e soprattutto la proposta Travaglini...
Di aree interne, in chiave politica, culturale e sociologica non si è mai smesso di parlare, di scrivere, di fare convegni, negli ultimi decenni.
Dal 2012 siamo attratti dagli impulsi della cosiddetta Strategia Nazionale Aree Interne (Snai).
Dodici anni di analisi, convegni, numerosi libri, ma pure di alcuni miniprogetti per finanziare opere ed interventi vari di limitate dimensioni.
Da una parte le mega-infrastrutture, come l'Alta Velocità, dall'altra micro-iniziative di scarso rilievo.
In effetti, secondo molti, le aree interne sono parenti poveri da assistere e non soggetti produttivi da riconoscere, valorizzare e compensare.
Forse ancora una volta l'emergenza delle scosse sismiche e del bradisismo metteranno in moto una strumentalizzazione e non una saggia utilizzazione delle aree interne, continuando a non vedere e a non riconoscere il valore ed il peso delle risorse idrogeologiche, ambientali ed energetiche che soltanto nella dorsale appenninica sono ricavate.
Non dobbiamo aspettarci che dalle emergenze geologiche dell'area metropolitana possa nascere una presa di coscienza delle istituzioni competenti che la Campania per affermare le sue grandi potenzialità debba darsi finalmente un assetto territoriale.

comunicato n.164163




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