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Benevento, 25-02-2017 18:26 ____
Partecipazione di pubblico all'Auser-Uselte dove Maria Felicia Crisci ha relazionato sulla produttivita' della scuola oggi
Lungo excursus sull'istituzione scolastica dai primi decenni del '900, evidenziando che i suoi problemi hanno coinvolto non solo gli operatori scolastici ma anche le famiglie
Redazione
  

Partecipazione di pubblico all'Auser-Uselte dove Maria Felicia Crisci, già dirigente scolastico del Liceo "Giannone" di Benevento ha relazionato sulla produttività della scuola oggi.
"Ha introdotto i lavori - si legge nella nota inviata alla Stampa - il presidente Auser-Uselte, Adriana Pedicini, richiamando l'attenzione sui gravi problemi che attanagliano la scuola, di alcuni più superficiali, altri che riguardano la funzione stessa della scuola nell’odierna società, la quale sembra incapace di risolvere la crisi in cui versa questa istituzione, una crisi che si manifesta prima di tutto come malessere in tutti coloro che hanno a che fare con la scuola.
Crisci ha avviato un lungo excursus sull'istituzione scolastica dai primi decenni del '900, evidenziando che i problemi della Scuola hanno coinvolto e coinvolgono non solo gli operatori scolastici, ma anche le famiglie, sollecitando interventi e dibattiti tra gli intellettuali ed i politici che, nel tempo, ne hanno fatto e continuano a farne oggetto di riforme.
Tra queste, quella varata nel 1923 da Giovanni Gentile ministro della Pubblica Istruzione nel primo Governo Mussolini, il cui carattere era fortemente "selettivo".
La riforma consisteva in una serie di regi decreti che ridefinivano, con coerenza e rigore, l'intero assetto dell'istruzione in tutti i suoi aspetti.
Il nuovo ordinamento portava l'obbligo scolastico a 14 anni, misura che trovò, però, scarsa applicazione e prevedeva una scuola elementare di cinque anni con un grado preparatorio (scuola materna), non obbligatorio, di tre anni con carattere ricreativo.
Nella seconda metà del Novecento le cose sono cambiate.
E' emersa una nuova cultura, la cultura di massa, che è diventata la cultura della quasi totalità della popolazione.
Essa trova il motivo ispiratore in alcuni articoli della Costituzione, soprattutto nell'articolo 34 (istruzione obbligatoria per almeno otto anni); pertanto la fascia dell'obbligo viene elevata fino all'età di 14 anni e ha carattere gratuito.
Secondo il legislatore questa fascia temporale dell'istruzione è finalizzata a svolgere non una funzione selettiva, quale era il ruolo della vecchia scuola media, bensì ha il compito di formare con un ampio numero di discipline i ragazzi, preparandoli così alla scelta del percorso del successivo ciclo di studi, in un'età peraltro ancora acerba per compiere una scelta così decisiva.
Leggiamo, infatti, all'articolo 1: "La scuola media concorre a promuovere la formazione dell'uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l'orientamento dei giovani ai fini della scelta dell'attività successiva".
La società, intanto, è cambiata rispetto a quel 1962, anzi negli ultimi decenni velocemente, ma la scuola è rimasta la stessa, non si è attrezzata per svolgere il suo nuovo ruolo di scuola di massa.
Ad esempio, non ha mai veramente affrontato il problema delle capacità e delle motivazioni dei ragazzi nella totalità della popolazione studentesca, non ha modificato i suoi contenuti per tener conto della nuova cultura di massa, che pure è la cultura dei suoi utenti, non ha affrontato il problema di introdurre in modo adeguato, come efficaci strumenti di apprendimento, le nuove tecnologie della comunicazione, che pure sono utilizzate in ogni settore del la società fuori della scuola e non tiene conto in modo attento delle richieste del mercato del lavoro.
Tuttavia, vari interventi sono stati predisposti ed attuati per potenziare il sistema scuola, aggiornando i docenti ed ampliando l'offerta formativa agli utenti, ad esempio potenziando le lingue straniere e la matematica, introducendo la pratica del cosiddetto orientamento.
Vari sono stati gli interventi del pubblico tra cui quello dell'ex provveditore, Mario Pedicini, che in un'analisi che si potrebbe definire schietta non ha risparmiato critiche perfino ai vertici del Dicastero della Pubblica Istruzione, spesso presi dal furore di riforme più o meno plausibili non esenti da un certo qualunquismo che ha favorito, ad esempio, un fin troppo disinvolto cambio di ruolo tra i vari gradi scolastici in ambito docente e dirigenziale, ancorché in presenza di titoli culturali indispensabili ma non forse di competenze necessarie.
Anche in fatto di autonomia scolastica (organizzativa, didattica e amministrativa) non sempre si è fatto quello che ci si aspettava e, pur nella realizzazione di piani di offerta formativa nel rispetto delle attese delle famiglie e delle potenzialità degli studenti, non sempre sono state adottate tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo.
Ma proprio qui casca l'asino, atteso che ormai anche i dirigenti, in qualche caso, sono più preoccupati di non perdere alunni che di tutelare la loro preparazione facilitando in modo eccessivo le promozioni alla classe successiva.
Anche il voto dell'esame di stato si rivela un vero e proprio "falso in bilancio" visto il modo con cui lo si predetermina.
Ci sono, dunque, dei cambiamenti da apportare innanzitutto al curriculum scolastico e al sistema di valutazione.
La Scuola è tenuta a risolvere tutto questo preoccupandosi di chi sarà protagonista adulto nella società dei prossimi anni.
L'insegnamento della scuola deve essere finalizzato perciò non solo a trasmettere il passato delle società umane, secondo le cui leggi creare una identità ed un senso di appartenenza nei ragazzi, secondo quanto lo studio della storia si è preoccupata di fare fino ad oggi.
La storia deve essere a spettro globale, deve interessarsi alla comunità mondiale, cessando di ridursi a storia della comunità culturale e politica di cui si è parte.
Infine, bisogna tener presente che l'evoluzione dell'economia e del lavoro sempre più richiede una formazione flessibile e continuamente aggiornata che la scuola fa fatica a realizzare, in cui tuttavia dovrà impegnarsi se vuole preparare adeguatamente coloro che saranno destinati a lavorare in una società in cui non esiste più "il lavoro fisso", ed è interessata da cambiamenti costanti nei processi produttivi e nelle cose prodotte.
Questa la sfida che la Scuola è chiamata ad affrontare".

 

comunicato n.99877



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