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Benevento, 17-06-2021 10:12 ____
Il "mio" Alfredino Rampi il figlio di tutti noi. La mia personalissima esperienza del tragico evento che incollo' alla televisione milioni di italiani
Quel caso mi sciocco' talmente tanto che quando ho cresciuto i miei figli facevo sempre un attento sopralluogo della zona dove giocavano per accertarmi che non ci fossero pericoli e soprattutto che persino i tombini fossero ben sigillati
di Mena Martini
  

Passate le celebrazioni, le interviste, i documentari e gli special sul quarantennale della tragedia di Vermicino, il dramma collettivo più famoso della nostra storia recente, voglio, in punta di piedi e ancora con un groppo in gola, narrarvi la mia personalissima esperienza del tragico evento.
Nel pomeriggio del 10 giugno 1981, la televisione diede notizia di un ragazzino di 6 anni caduto in un pozzo e dei soccorsi accorsi sul posto.
Credo che tutti in quel momento avessimo pensato che nel giro di qualche ora quel ragazzino sarebbe stato riportato alla luce.
Il pozzo che tutti noi immaginavamo come un pozzo classico, almeno un metro di diametro, formato da segmenti regolari di anelli concentrici in cemento e fatto in modo che se ne vedesse il fondo.
Non era così.
Il pozzo in cui era accidentalmente caduto Alfredino, era di tipo artesiano.
Tranne gli esperti del settore, credo che all'epoca nessuno di noi sapesse il significato, la morfologia e le caratteristiche di un pozzo artesiano.
Si tornava a casa dal lavoro, dalla spesa o da qualsiasi attività e le reti unificate erano fisse su quel lembo di terra.
Intanto le ore passavano e la situazione rimaneva la stessa.
Infatti, il facile salvataggio prospettato dai tecnici, si rivelò più complicato del previsto.
Credo che in quelle ore in tutta la nostra nazione non si parlasse d'altro.
Ci si incontrava per strada e chi non aveva avuto la possibilità di guardare la televisione, si informava sulle ultime novità.
A Vermicino, oltre ai mezzi tecnici e al personale esperto, accorsero speleologi e tutti quelli che, o per le caratteristiche fisiche o perché particolarmente magri, volevano rendersi utili.
Contorsionisti, nani e circensi si cimentarono in quelle drammatiche ore.
Persino il nostro amatissimo presidente della Repubblica, Sandro Pertini, si recò sul posto a dare coraggio a mamma Franca e a vigilare sulle manovre.
Intanto, una folla incredibile si accalcava sul luogo maledetto fin quasi all’imbocco del pozzo. Si andava avanti per tentativi ma tutti si rivelarono dei  fallimenti.
Intanto Alfredino si lamentava anche perché nella caduta era rimasto con una mano impigliata sotto il bacino.
La corda a cui era legata una tavoletta con l'intento di farlo aggrappare, si spezzò e il pezzo di legno rimase incastrato rendendo difficile ogni altro tentativo.
Il pozzo era profondo 80 metri con un diametro di 28 centimetri, le cui pareti non erano regolari bensì molto frastagliate e particolarmente viscide e melmose.
Nella notte giunse sul posto una troupe della Rai e una sonda fu calata nel budello.
Localizzarono Alfredino a 36 metri di profondità ma il pericolo che potesse scivolare sempre più in basso era molto probabile. Immisero aria per aiutarlo a respirare e un sondino per farlo bere. Due speleologi, calati a testa in giù fecero di tutto per disincagliare la tavoletta senza però riuscirci.
Si pensò allora di scavare un pozzo parallelo a quello in cui si trovava Alfredino al fine di raggiungerlo scavandone un altro in orizzontale.
Una potente trivella fu portata sul posto e si cominciò lo scavo.
La notte tra l’11 e il 12 giugno credo sia stata la notte da incubo e più angosciante in assoluto per tutti gli italiani.
Rimanemmo attaccati alla televisione ininterrottamente per circa 18 ore.
Terminato lo scavo, ci si rese conto che Alfredino nel frattempo a causa delle vibrazioni era scivolato a 60 metri di profondità.
Allora si fece avanti Angelo Licheri, un uomo molto esile, che dopo tre tentativi tutti andati a vuoto si dovette arrendere perché il bambino gli scivolava dalle mani.
La mattina del 13 giugno io e mio marito, sposi da quasi un anno, intontiti, frastornati, assonnati e con un mal di testa terribile, partimmo per un pellegrinaggio a Lourdes organizzato da don Luigi Caturano.
In serata all'arrivo a Sanremo sapemmo che Alfredino purtroppo era morto.
A Lourdes, il secondo giorno credo, vedemmo un capannello di gente, ci avvicinammo e scorgemmo don Licio Boldrin un prete veneto molto famoso in quel momento perché aveva vinto 48 milioni di lire rispondendo a domande su Papa Luciani al quiz di Mike Bongiorno, "Flash".
Inevitabilmente qualcuno gli chiese di Alfredino e don Licio rispose che Dio lo aveva voluto con sé e che adesso si trovava tra gli angeli.
Ricordo che queste parole mi suonarono incomprensibili non sapendomi spiegare perché un bambino così piccolo per raggiungere la schiera degli angeli fosse dovuto passare per un supplizio tanto terrificante.
All'epoca lavoravo al settore Lavori Pubblici del Comune di Benevento, a Palazzo Paolo V, e qualche tempo dopo fu emessa una legge che oltre a censire i pozzi artesiani presenti su tutta la penisola, ne dettava le norme di messa in sicurezza al fine di evitare tragedie come quella di Vermicino.
Il caso di Alfredino mi scioccò talmente tanto che quando ho cresciuto i miei figli facevo sempre un attento sopralluogo della zona dove giocavano per accertarmi che non ci fossero pericoli e soprattutto che persino i tombini fossero ben sigillati, cosa che continuo a fare oggi con i miei nipoti.

comunicato n.141550



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