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Benevento, 04-12-2018 14:33 ____
Sembra che la questione meridionale sia tornata di moda, ma solo per mettere in difficolta' l'attuale Governo
Da sconfitti ma con la spina dorsale eretta, avremmo dovuto raccogliere la sfida del "federalismo", qualunque fosse la forma di attuazione. Come invidio "les gilets jaunes!, scrive l'economista Luigi Ruscello
Redazione
  

Una nota di riflessioni ci è giunta dall'economista Luigi Ruscello (foto).
"Sembra - scrive - che la questione meridionale sia tornata di moda, ma solo per mettere in difficoltà l'attuale Governo, di cui, peraltro, non sono un fan.
Il dibattito che si è sviluppato recentemente, infatti, verte sulla cosiddetta "autonomia rafforzata".
L'articolo 116, comma 3, della Costituzione prevede che "Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui […], possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119.
La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata."
Ma andiamo con ordine.
E' ben noto che ad ottobre dello scorso anno, in Lombardia e Veneto, si sono svolti due referendum a sostegno della richiesta di maggior autonomia.
La Regione Emilia Romagna, invece, ha preferito evitare la consultazione popolare.
Per inciso, tra le due procedure, è preferibile la prima, ancorché costosa, altrimenti ci si riempie la bocca di democrazia e, poi, non si applica né si pratica.
Successivamente, il 28 febbraio scorso, le tre Regioni interessate: Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, hanno sottoscritto tre distinti accordi preliminari con il Governo nazionale in cui sono indicate le materie e le modalità per il riconoscimento di forme e condizioni particolari di autonomia.
Nonostante ciò, c’è stato chi, nello scorso mese di luglio, ha scritto che "Il tema non va affatto sottovalutato, specie ora che trova disponibilità nel nuovo governo".
E' vero che alle pagine 36 e 37 del Contratto per il Governo del cambiamento si legge, tra l'altro, che "Sotto il profilo del regionalismo, l'impegno sarà quello di porre come questione prioritaria nell'agenda di Governo l'attribuzione, per tutte le Regioni che motivatamente lo richiedano, di maggiore autonomia in attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, portando anche a rapida conclusione le trattative tra Governo e Regioni attualmente aperte...
Occorre inoltre utilizzare il modello dei "costi standard" per i servizi regionali e locali, ma come è possibile si possa ignorare la già avvenuta firma dell'intesa di base ancor prima delle elezioni?
I termini della questione, dunque, dovevano già essere ben conosciuti, per cui il primo dubbio che sorge riguarda i tempi in cui è stata sollevata la questione.
Perché solo il 27 agosto, promossa da Viesti, viene lanciata una petizione su www.change.org dal titolo:"No alla secessione dei ricchi"?
Perché, nella fase di negoziazione delle intese, non ci si rivolse al Governo dell'epoca per consigliare un comportamento che non danneggiasse ulteriormente il Mezzogiorno?
Nessuno ebbe a ridire o, meglio, a preoccuparsi delle sorti del Mezzogiorno.
Forse perché gli accordi preliminari furono firmati dall'allora Governo Gentiloni; mentre adesso il ministro per gli Affari regionali è la leghista Stefani?
Non me ne voglia, allora, Viesti, di cui sono un modesto ma sincero ammiratore, se mi permetto di avanzare tali dubbi.
Aggiungo che alle predette richieste di autonomia sono seguite anche quelle di Piemonte, Liguria, Toscana e Marche.
Anzi, come ha scritto Antonio Polito, "le Regioni del Sud, che rivendicano sempre più fondi, dovrebbero mostrarsi all’altezza della sfida, proponendosi di farlo anche loro. Invece la Campania di De Luca si è finora astenuta dal presentare un suo progetto per ottenere l'autonomia rafforzata.
Si vede che, forse a ragion veduta, teme di spendere di più e combinare meno facendo da sola".
Per quanto concerne il merito della petizione, osservo che, pur non valutandola "una patacca", come pure è stato fatto, non ho inteso firmarla per diversi motivi.
In primo luogo, non ritengo né eversiva, né secessionista, la richiesta di maggior autonomia in quanto è prevista dalla "costituzione più bella del mondo", o no?
E non mi si venga a dire che l'articolo 116 della Costituzione è stata opera di forze nazionaliste o sovraniste poiché, a volerla, è stata proprio la cosiddetta "sinistra" con la sciagurata riforma del 2001 e, purtroppo, noi italiani l'abbiamo confermata (io votai "No").
In secondo luogo, sarà necessaria una legge dello Stato, da approvare a maggioranza assoluta dei componenti delle Camere, per cui l'appello al presidente della Repubblica appare quanto meno sconveniente perché, se non sbaglio, al di là degli eventuali e successivi ricorsi, la legge può essere rimandata al riesame delle Camere proprio dal presidente Mattarella, che non mi sembra sia un eversivo secessionista.
Nessun colpo di stato dunque.
In terzo luogo, il secondo punto della petizione, indirizzato ai parlamentari, chiede che vengano prima approvati i Lep e che il trasferimento di risorse sulle materie assegnate alle Regioni sia ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza. Ebbene, non esistendo una univoca definizione di "indicatori di ricchezza", mi permetto osservare, molto sommessamente, che l’espressione è quanto mai vaga e generica.
Anzi, dalle ultime dichiarazioni del ministro Stefani, si apprende che "Il saldo totale resterà invariato: quando passa la competenza di una materia passano anche le risorse necessarie per farla funzionare".
Piuttosto non è azzardato prevedere un contrasto con il M5S perché nel contratto di Governo è scritto che "Occorre inoltre utilizzare il modello dei "costi standard” per i servizi regionali e locali".
Insomma, mi sarei aspettato, e da diversi anni, una analoga e più pressante iniziativa a proposito dei Lep, specie quando c'è stato il "governo dei tecnici".
Mi chiedo, allora: perché non è mai stata lanciata una petizione al riguardo?
Perché nelle Conferenze unificate le Regioni meridionali non hanno battuto i pugni sul tavolo?
Eppure sono governate dallo stesso partito che ha governato in Italia negli ultimi cinque anni.
Ebbene, al di là della già avanzata obiezione sul fatto che deve essere approvata una legge a maggioranza assoluta delle Camere, l'articolo 4 dell'intesa base tratta proprio delle risorse finanziarie umane e strumentali e le modalità per la loro attribuzione sono demandate ad un'apposita Commissione paritetica Stato-Regione.
Mi sbaglierò, ma non mi sembra che vi siano riferimenti a specifici indicatori di ricchezza.
D'altronde, lo si potrà verificare a breve, perché, come dichiarato dal ministro Stefani: "La mia intenzione è quella di poter portare una bozza d'intesa per una prima discussione all'interno del Consiglio dei ministri entro il 22 ottobre. Cosa porterà?
Sicuramente una gestione da parte del Veneto in modo da avere una responsabilizzazione della spesa, ma ha anche l'obiettivo di portare non solo il nucleo di decisione più vicino ai cittadini ma anche proprio la capacità di gestione".
Quella data è stata superata e ora sembra che la decisione verrà presa nel corrente mese.
Per concludere, mi pongo allora una domanda: ma perché noi meridionali, che pure ci consideriamo più "dritti" degli altri, ci accorgiamo sempre in ritardo dei torti nei nostri confronti?
Insomma, come ho scritto nel mio studio sul meridione: "Da sconfitti, dunque, ma con la spina dorsale eretta, avremmo dovuto raccogliere la sfida del "federalismo", qualunque fosse la forma di attuazione, perché solo così avremmo potuto riscattare il passato e guardare con orgoglio e fiducia al futuro.
Come invidio "les gilets jaunes"!".

comunicato n.118119



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