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Benevento, 09-08-2018 16:51 ____
Le norme che regolano le elezioni per gli organi provinciali sono quelle di sempre visto che gli italiani hanno bocciato il referendum costituzionale
Tutto il disegno partorito dalla penna di Delrio diventa carta straccia e dunque la parola torna al popolo che deve essere chiamato ad eleggere il presidente ed il consiglio provinciale, afferma Serafino De Bellis
Redazione
  

Il funzionario della Provincia di Benevento, Serafino De Bellis (foto) ha inviato una nota con cui ha svolto delle riflessioni sulle elezioni degli organi provinciali.
"La legge del 7 aprile 2014 numero 56 recante: "Disposizioni sulle Città Metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni" nasceva - scrive - con lo scopo di disciplinare il percorso che avrebbe dovuto condurre alla eliminazione del termine "Provincia" dalla Costituzione.
Una sorta di "norma transitoria", in attesa della modifica del Titolo V della Costituzione progettata dal Governo Renzi per il tramite del suo ministro per gli affari regionali e le autonomie Delrio e dai parlamentari-ministri a lui più vicini appartenenti a quel gruppo identificato con il nome di "giglio magico".
Un delirio di onnipotenza in base al quale essi ritenevano già legge un provvedimento che non solo doveva ottenere il lasciapassare del Parlamento, ma anche quello del popolo italiano attraverso il referendum confermativo.
Il popolo italiano, il 4 dicembre 2016, ha bocciato con il 60% dei voti il disegno renziano, per cui le Province erano e restano a pieno titolo organi di rilievo Costituzionale (Articolo 114 - Tit. V della Costituzione).
Tutto il disegno partorito dalla penna di Delrio diventa carta straccia.
Quindi anche le norme che regolano le elezioni degli organi delle Province.
Lo stesso Delrio, del resto, all'articolo 1, comma 51, della legge 56, aveva scritto: "In attesa della riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le Province sono disciplinate dalla presente legge".
Appare, quindi, del tutto evidente che la validità di quelle norme era limitata al solo periodo intercorrente tra la data di entrata in vigore della legge 56/2014 (8 aprile 2014) e quella di entrata in vigore della riforma del Titolo V, quando, secondo il progetto renziano, le province non sarebbero più esistite.
Ma la riforma del Titolo V non c'è stata, è stata bocciata, di conseguenza le norme della legge 56 che riguardano le Province non hanno più alcun valore.
Gli organi di governo delle Province, pertanto, ai sensi dell'articolo 36 del Testo Unico degli Enti Locali (Tuel), tornano ad essere quelli esistenti prima della legge 56: il Presidente, il Consiglio Provinciale, la Giunta.
Le Province (organi di rilievo costituzionale) dopo il 4 dicembre 2016 sono rientrate nell'ambito della disciplina del Testo Unico degli Enti Locali (Tuel) e quindi le modalità di elezione degli organi sono quelle previste dagli articoli 74 e 75 del Tuel con voto a suffragio universale (il voto, cioè, torna ai cittadini).
Il comma 2 dell'articolo 1 del Dl del 25 luglio 2018 numero 91 (decreto milleproroghe), invece, riconferma per il presidente ed il Consiglio provinciale le elezioni di 2° livello (i votanti sono solo i sindaci ed i consiglieri dei Comuni delle Province) e tale previsione, a parere dello scrivente, è palesemente incostituzionale.
La legge 56 non ha raggiunto alcuno degli obiettivi che il Governo Renzi si era proposto.
Ci sono stati critiche feroci sia da parte della Corte dei Conti che della Corte Costituzionale, oltre che da parte di illustri Costituzionalisti.
Occorre, allora, che l'Unione delle Province Italiane (Upi) metta in campo tutte le armi che ha a disposizione perché venga sollevata la questione di legittimità costituzionale delle norme introdotte dalla legge numero 56/2014 che riguardano le Province e dell'articolo 1, comma 2, del Dl numero 91/2018, perché la Costituzione, così com'è scritto all'articolo 138,  si può modificare solo con una legge di revisione Costituzionale e non con un Decreto Legge.
Comunque, è bene sempre ricordare che dopo la modifica parlamentare c’è sempre il voto popolare (salvo il caso di approvazione della legge nelle due camere con maggioranza superiore ai due terzi) che con referendum conferma o boccia.
La decisione finale, cioè, appartiene sempre al popolo.
Meno male!".

comunicato n.115110



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