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Benevento, 21-02-2018 21:46 ____
Come gestivano la "legge" e le dispute di tutti i giorni i nostri antenati longobardi senza piu' il riferimento dell'Impero romano?
Ne ha parlato Luca Loschiavo per iniziativa della cattedra di Storia dell'Esperienza Giuridica di Cristina Ciancio del corso di laurea in Giurisprudenza dell'Unisannio
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La cattedra di Storia dell'Esperienza Giuridica di Cristina Ciancio del corso di laurea in Giurisprudenza dell'Unisannio, ha affrontato quest'oggi, nell'affollata Sala Rossa del Palazzo del Rettorato, un tema intrigante ed a noi molto vicino, quello del Diritto Longobardo che è stato trattato, con un'esposizione certamente dotta ma anche e soprattutto scorrevole nell'incedere e mai stancante, da Luca Loschiavo, docente ordinario di Storia del Diritto Medievale e Moderno dell'Università degli Studi di Teramo.
Ad introdurre i lavori, è stato Aniello Cimitile, a nome del Comitato direttivo della Biennale di studi sulla Longobardia meridionale.
Certamente il diritto longobardo è parte del programma di studi del corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza e, dunque, l'interesse degli allievi era certamente legato alla didattica.
Occorre però non dimenticare che questa materia qui a Benevento, che dei longobardi è stata capitale di quella che viene definita come Longobardia Minore, assume tutta un'altra valenza ed un altro significato.
Insomma, che lo si voglia o no, è la nostra storia visto che questi "omoni" germanici (spettacolare fu il ritrovamento, alcuni decenni fa, di una tomba di origini longobarde proprio dinanzi a Palazzo Petrucciano, dove ora è la Banca Popolare, all'interno della quale fu rinvenuto lo scheletro di un uomo alto quasi due metri...) hanno dominato e governato le nostre terre per circa settecento anni, fino al 1077.
Noi siamo necessariamente i loro discendenti e dunque sapere come i nostri avi gestissero la vita di gruppo, della comunità, senza avere più il riferimento della organizzazione, anche giuridica, dei romani, è cosa che può suscitare un interesse che va al di là del dovere di studio.
Ciò detto, Loschiavo ha sottolineato come solo dopo 70 anni dopo il loro arrivo in Italia (quella che noi oggi consideriamo Italia, ovviamente ma che all'epoca era tutta una divisione di terre, di città stato, di principati e quant'altro) avvertirono il bisogno di darsi una legislazione scritta.
Tanto tempo è stato necessario perché evidentemente anche i sovrani ancora non erano effettivamente radicati nella carica.
Si consideri poi che i longobardi, rispetto alla popolazione che dominavano, composta da circa 3 milioni di persone, erano in pochi e dunque pensarono, a ragione, di lasciare che le cose continuassero ad andare avanti così come era stato sin prima del loro arrivo.
L'unica cosa a cui tennero in maniera particolare, fu il raccolto dei frutti della terra e qui si sostituirono gradatamente, ma senza indugi, ai proprietari terrieri dell'epoca lasciando che le popolazioni continuassero ad utilizzare il diritto romano.
Ma di quale diritto romano parliamo, ha detto Loschiavo, se l'impero non c'è più e se neanche lo scritto esiste?
Ed il giudice chi mai può esserlo in queste condizioni?
Ed allora ecco che avanza la figura del vescovo che gestisce la giustizia un po' di diritto, un po' di fatto perché peraltro non c'è nessun altro che avoca a sé questo compito.
Ai longobardi, più predoni che militari, tutto questo interessava poco perché vivevano di tutto quello che riuscivano ad arraffare.
Poi con il tempo, dopo settant'anni, appunto, ecco la necessità di darsi delle norme.
Il documento dell'epoca più importante è certamente l'editto di Rothari che era diviso in due "mosse" con la bellezza di 388 capitoli il cui numero più corposo è per la prima "mossa" che riguardava norme a carattere penale mentre la seconda si riferiva alla soluzione di casi concreti.
Si consideri ancora che i longobardi dell'epoca non hanno poi una lingua scritta e dunque si devono affidare a quella dei vinti, il latino, anche se con il tempo esso assume una forma sempre più distante da quella originaria.
Così, fu detto, con una legge così precisa e soprattutto scritta, si porrà un freno all'arbitrio dei giudici.
Falsa illusione, ha detto Loschiavo, perché ovviamente non fu così ed i magistrati dell'epoca continuarono a fare praticamente ciò che volevano.
La legge altro non era che un patto, di diritto privato, tra il sovrano ed i suoi sudditi e dunque essendo un patto essa dovette essere discussa in Assemblea, quella degli Arimanni.
Si ipotizza che ogni capitolo venne discusso ed approvato, ma forse neanche questo è totalmente vero.
Il professore Loschiavo ha quindi proseguito nel racconto, molto affascinante, della vita dell'epoca descrivendo anche un processo per stupro o violenza sessuale e con la procedura che talvolta si affidava più che alla legge terrena a quella divina.
In tutto questo i longobardi intanto avanzavano e si organizzavano regalando poi alle terre conquistate centinaia di anni di prosperità e di grandi evoluzioni anche in campo letterario, musicale e culturale.
E la nostra città ne è un magnifico esempio.

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