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Benevento, 21-08-2017 14:59 ____
Conoscevo da tempo il progetto della nuova costruzione al posto del "Massimo" ed ho chiesto prima di abbatterlo di poter rimanere solo in quella sala
Fra quei muri, per i ragazzi della mia eta', sono gelosamente custoditi pezzi importanti delle nostre giovinezze quando andare al cinema costituiva talvolta un momento significativo che chiudeva spesso una settimana di studio intenso
di Giuseppe De Lorenzo
  

ap - Con orgoglio e soddisfazione annuncio ai lettori di "Gazzetta" che il "corteggiamento" verso Peppino De Lorenzo è finalmente terminato e da oggi egli è parte a tutti gli effetti della nostra redazione e, quindi, firmerà i suoi articoli non più come esterno al giornale medesimo.
Questo, dicevo, mi inorgoglisce perché De Lorenzo ha accettato di entrare a far parte di un giornale, a valenza strettamente locale, che, da quando è stato fondato, poco dopo la metà dell'Ottocento (1864) ad oggi, ha sempre attratto le migliori energie ed intelligenze del territorio in quanto capace di essere tra la gente e di raccontare la vita di tutti i giorni senza compromessi inaccettabili ed usando con parsimonia e la dovuta attenzione la terribile "arma" della scrittura.
De Lorenzo a questi principi si attiene e per questo è benvenuto tra noi.
La vicenda di cui si occupa oggi, è quella del Teatro "Massimo" che ha ampiamente interessato le cronache ferragostane.
Pareri diversi escussi a vari livelli.
Oggi, a bocce mediatiche ferme, interviene Peppino De Lorenzo.
Questi lo fa aprendo, ancora una volta, uno dei cassettini in cui custodisce i ricordi di una vita.
Ne scaturisce uno spaccato diverso.
Invitiamo, in modo particolare, i giovani d'oggi a leggere la nota che segue con la speranza che anche loro, tra cinquant'anni, possano provare, nel ricordo dei vent'anni, le stesse emozioni che oggi manifesta il nostro collega.
Buona lettura.

Prima d'intervenire in merito alla paventata chiusura del Cinema Teatro "Massimo", ubicato nella centralissima via Perasso, volutamente, ho atteso, come prevedibile, il commento dei più, dopo che la notizia è apparsa in una calda mattina di questa torrida estate.
Ho atteso, come dicevo, volutamente, prevedendo, così come si è verificato, che, dopo anni di assordante silenzio, senza che alcuno affrontasse, in modo particolare a livello politico, il problema, poi, d'improvviso, in molti hanno parlato.
Fors'anche troppo.
Bene.
Non nego, in tutta sincerità, di essere stato, già alcuni mesi or sono, tra i primi, quando tutto era coperto dal silenzio, a visionare il progetto, con le doverose limature apportate di volta in volta, che, con appartamenti, tutti, in verità, di perimetro contenuto e negozi dovrebbe condurre alla nuova e moderna architettura al posto del "Massimo".
La distribuzione è su cinque livelli mantenendo, come è stato detto, la stessa attuale volumetria, nonché, nel complesso, la medesima sagoma del fabbricato odierno.
Non è opportuno aggiungere altro a quanto, anche se con pareri opposti, hanno già ampiamente escusso professionisti, rappresentanti istituzionali, uomini di cultura e giornalisti.
Su due aspetti, però, mi sia concesso, ritengo giusto, in questa sede, soffermare l'attenzione.
Il primo riguarda la storia di quel teatro che, nel lontano 1953 (nelle foto i disegni originali del 1950, appartenenti all'archivio storico di "Gazzetta", del costruendo Teatro "Massimo" sia con la facciata principale che dà su via Perasso - nella immagine in prima - sia con quella secondaria che dà su via Achille Vianelli, nella foto qui in basso, ndd), inaugurato dall'allora sindaco, Vincenzo Cardone, rappresentò la sola vera sala cinematografica dell'epoca che seguì alla guerra.
Una tappa importante da non sottovalutare per una città che guardava le sue ferite con i tanti ruderi lasciati dai bombardamenti.
Fra quelle mura, per i ragazzi della mia età, sono gelosamente custoditi pezzi importanti delle nostre giovinezze.
Negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta non vi era ancora l'odierno progresso tecnologico ed andare a cinema costituiva talvolta un momento significativo ed importante che chiudeva spesso una settimana di studio intenso.
Di computer, cellulari, tablet e giù di lì, neanche la più pallida idea.
Eppure, eravamo sereni e spensierati.
La vita ci sorrideva. Sempre ed in ogni istante. Andare al "Massimo" era una festa.
Lì, noi ventenni di allora, mano nella mano, siamo sbocciati ai primi amori, lì, le timide carezze che ci univano nel vedere un film di sentimenti più accesi, pellicole semplici e senza presunzioni, lì, in silenzio, il sogno dei progetti immaginando alberi meravigliosi lungo il futuro percorso della nostra vita, alberi che, poi, non abbiamo trovato. 
Sì, è vero, non lo nascondo, sono stato tra i primi a visionare le sagome di quegli appartamenti che spuntano dalle odierne cartografie.
Mesi fa, tutto il programma era avvolto dal silenzio ed eravamo in pochissimi a conoscerlo.
Quella sera, dopo la dettagliata visione di quel progetto, confesso di aver trascorso una notte insonne.
Mi sono rivisto, senza volerlo, alla proiezione, nel 1970, del film  "Anonimo veneziano", diretto da Enrico Maria Salerno con Florinda Bolkan e Tony Musante.
Non mi soffermo sulla trama, ma ricordo la musica di sottofondo, splendida ed indimenticabile, che avvolse noi giovani d'allora.
Quella colonna sonora, a distanza di quasi cinquant'anni, dopo aver visionato quel progetto, mi è ritornata, prepotentemente, alla mente, per una notte intera.
E poi, "Il dottor Zivago", del regista David Lean, tratto dal romanzo di Pasternak. La storia controversa e travolgente del medico Yuri Zivago con l'infermiera Lara. Anche in questo caso una colonna sonora appassionante che accompagnò le nostre prime scoperte della vita. 
Ed ancora, ho ricordato i "The Renegales" che, nello stesso periodo, vennero in concerto al "Massimo" ed eseguirono, tra gli altri, un brano del tempo che spopolò le discoteche, "L'amore è blu... ma ci sei tu".
Mi sono rivisto, ormai avanti negli anni, con la ragazza dell'epoca, il primo grande amore della mia vita. Uscivamo da quella sala quasi trasognati.
Sono andato a rileggere una delle tante lettere di allora. In quel tempo v'era l'uso di queste ultime prima che il posto venisse ceduto, impietosamente, ai messaggi del telefonino.
In essa, con un velo di commozione, ho letto: "Questa sera, dopo essere uscita dal cinema Massimo, faccio mie le parole di Jacques Prevert: Questo amore tutto intero, così vivo, tutto soleggiato, è tuo, è mio. 10 novembre 1970". 
Cosa, oggi, non darei per rivivere, magari per attimi, quei momenti.
Anche se le nostre strade, poi, si divisero, le mura del "Massimo" conservano, ancora oggi, intatti quei ricordi. E con me, ne sono certo, si ritrovano tanti ventenni di allora.
Da cocciuto cultore di esperienze insolite, se la struttura verrà demolita, a colui che, con tanto affetto, mi ha usato la cortesia di poter visionare quel progetto in anteprima chiederò, con la speranza di essere assecondato, di farmi ritornare, anche se per pochi minuti, a sedere da solo in quella sala ove porterei con me non più i dischi in vinile, ma i cd odierni di quei tre brani.
E' il sogno di chi, come me, al tramonto della vita, ritornerebbe giovane per pochi attimi.
Sarebbe un'esperienza meravigliosa. 
A questo aspetto, decisamente personale per tanti, se ne aggiunge un secondo, di certo, non secondario.
A quanti oggi sono intervenuti, in tutta umiltà, mi verrebbe di chiedere cosa sia stato concretamente fatto in questi anni per evitare che tutto ciò accadesse.
Nulla, decisamente nulla.
Il teatro "Massimo" non proietta più film da tempo ed il suo utilizzo rimane ormai circoscritto a sporadiche manifestazioni.
La proprietà, che sia ben chiaro non intendo difendere, come avrebbe potuto ancora sopportare economicamente le trasformazioni dell'odierno progresso tecnologico? Chi gli ha teso la mano? Nessuno.
Ora, d'improvviso, ripetendo un copione stantio, tutti parlano senza che, poi, alcuno abbia fatto delle proposte concrete e realizzabili.
Anche il sindaco Mastella e con lui l'assessore alla Cultura, Oberdan Picucci, ha parlato della possibilità, ma molto vaga e non concreta, di un eventuale acquisto della struttura da parte del Comune attraverso la risorsa della programmazione Por 2014/2020.
Si può essere certi che si continuerà ancora in uno sterile chiacchiericcio.
Allora, accettiamo l'odierna realtà.
La trasformazione, a mio modesto avviso, non potrà avere soluzioni per essere evitata. Del resto, la proprietà, lasciata per anni da sola, non poteva tirare a lungo trovandosi in una gestione decisamente negativa.
Quindi, per quelli della mia età resterà almeno la ricchezza del ricordo.
Nei momenti difficili, il pensiero andrà alle note indimenticabili di "Anonimo veneziano", de "Il dottor Zivago" e de "L'amore è blu".
Anche se i tempi odierni tendono più verso il nero che allo speranzoso blu.

                                                         

comunicato n.105077



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