Benevento, 26-04-2014 20:57
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Pupi Avati racconta la storia del suo matrimonio che dura da quasi 50 anni. Il 27 giugno sposerò nuovamente mia moglie nel giorno delle nozze d'oro
di Debora Maiale
In occasione dell'inaugurazione della II edizione di "Symbolum", il Festival della Fede, iniziativa promossa dall'Arcidiocesi di Benevento in collaborazione con l’Associazione culturale "La conchiglia", il Pontificio Consiglio per la famiglia, la Provincia e la Camera di Commercio di Benevento, si è tenuto l'incontro con il celebre regista Pupi Avati presso il Salone Leone XIII del Palazzo Arcivescovile.Â
Avati, restando fedele alla tematica di quest'anno proposta dal Festival, quella dell'Amore, e dettosi impressionato dalla bellezza della città di Benevento, ha raccontato, attraverso l'analisi della sua miniserie "Un matrimonio" recentemente trasmessa sulla Rai, "… la storia di un matrimonio, ispirata al mio che dura da quasi cinquant'anni. Una storia per certi versi anacronistica, contrastante con la realtà circostante: quando per la prima volta proposi alla Rai di girare un film su un matrimonio che dura mezzo secolo mi risposero: "Allora è una fiction in costume!", e ciò accadde perché il matrimonio duraturo, oggigiorno, è visto come in via d'estinzione.
Il vero scandalo non è più la separazione, ma il matrimonio che resiste".
Il regista, dunque, raccontando molteplici aneddoti legati alla sua vita, ha voluto celebrare non solo l'idea del matrimonio, ma anche quella della famiglia, imbevuti in una sorta di alchimia provvidenziale.
"Mai - ha raccontato Avati - avrei potuto immaginare di scrivere ben quarantotto film, soprattutto dopo aver tentato, fallendo, la strada della musica jazz.
La grande scoperta, nella vita, consiste nel realizzare che la passione ed il talento siano due cose ben distinte tra loro.
E' stata la passione a spingermi a suonare, ma il talento, evidentemente, mancava.
La cosa più importante di tutte è avere il coraggio di ritentare, di credere sempre in quello che si fa, che coincide sempre, inevitabilmente, con quel che si è.
L'espressione di sé, che nel mio caso si esplica nel fare cinema e nasce dopo aver visto 8 e ½ di Fellini, è importante per combattere la frustrazione dell'essere".
"In questa sala -Â ha spiegato il regista -Â voi non siete che tanti numeri.
Purtroppo è difficile comprenderlo, ma ognuno ha una vicenda personale, che non è affatto collettiva.
La fortuna che ho nel poter raccontarmi, è anche una grande ingiustizia nei vostri confronti, che non siete qui a farlo".
Avati, infine, ha ricordato, commosso, che il 27 giugno non celebrerà le nozze d'oro, ma sposerà nuovamente sua moglie, "...per poter, come ha spiegato, dirle di sì, sull'altare, una nuova volta, ma con più consapevolezza.
Mia moglie è una donna meravigliosa, la persona che mi conosce meglio al mondo".
Presente all'incontro anche don Abramo Martignetti, il quale si è detto entusiasta per l'attenzione alla famiglia proposta come soggetto del Festival, educativo non solo per coloro che frequentano il contesto ecclesiastico ma anche per coloro che sono esterni ad esso e Paolo Palumbo, direttore artistico del Festival, assieme a Pellegrino Giornale al tavolo della presidenza, che ha definito l’evento come un impulso per ogni uomo per risvegliare la vivacità nella fede.
"Fa bene non solo alla Chiesa - ha spiegato Palumbo - occuparsi in modo intensivo di questioni che riguardano l'annunciazione e la testimonianza di fede nel tempo odierno: Fa bene a tutti. "Symbolum" cercherà di offrire occasioni di confronto, di riflessione comune e di crescita, affrontando tutte le tematiche legate alla vita familiare".
L'obiettivo, dunque, è quello di confrontarsi: Del resto, come ha detto anche il regista Avati, "la fede la si vive intimamente e ancor più intensamente se condivisa nei momenti di gioia e collettività ".
Le foto sono di "Gazzetta di Benevento". Riproduzione vietata.
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