Il Carcere di Salerno è stato intitolato alla memoria del beneventano Antonio Caputo
Si tratta di un brigadiere della Polizia Penitenziaria ucciso 32 anni fa
Redazione
La Casa circondariale di Salerno è stata intitolata al brigadiere del Corpo degli Agenti di Custodia, Antonio Caputo (nell'ultima foto in basso), morto in un agguato trentadue anni fa.
Caputo, nato a Benevento il 3 giugno 1942 e titolare del servizio di custodia presso il carcere di Salerno, è stato ucciso il 28 luglio 1981, quando, mentre rientrava nella propria abitazione, fu attinto da colpi di arma da fuoco sparati da individui a bordo di una autovettura.
E' stato riconosciuto "Vittima del Dovere" ai sensi della Legge 466/1980 dal Ministero dell'Interno
Alla cerimonia hanno partecipato le figlie, la vedova, la signora Sabetta.
Sul palco, oltre ad Alfredo Stendardo, direttore del Carcere di Salerno, sono stati presenti le più alte autorità cittadine.
Nel suo intervento, il provveditore dell'Amministrazione Penitenziaria della Regione  Campania, Tommaso Contestabile, ha sottolineato che "l'intitolazione del Carcere di Salerno rappresenta la testimonianza che lo Stato non dimentica mai il sacrificio dei servitori nella difesa della pace e della legalità ".
Emozione ha destato lo scoprimento della targa (che ricorda il sacrificio di Caputo), da parte delle figlie, del fratello e della vedova, e la lettura della motivazione della concessione del riconoscimento di "Vittima del Dovere".
Altro momento d'intensità è stata la lettura di una poesia da parte della figlia di Caputo, Michela, in ricordo del padre ed il successivo suo intervento: "Avevo dieci anni quando ho visto mio padre a terra privo di vita e ricordo il dolore immenso.
Un dolore che non mi ha mai abbandonata, ma accompagnata nel mio percorso di vita.
Aveva dei progetti mio padre, uomo semplice, gentile, legato alla famiglia e al suo lavoro, che voleva condividere con noi.
La morte, ha lasciato, invece un grande silenzio".
Fonte: Cronache del Salernitano - (abbinato al Roma)
estratto dall'articolo di Rosalba Ferraioli
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