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Benevento, 15-08-2011 09:25 ____
A nome del presidente della Repubblica vi chiedo scusa per quanto qui è successo. Così Giuliano Amato a Pontelandolfo
Parole solenni per fare ammenda dei tragici fatti del 1861 allorquando 500 bersaglieri misero a ferro e fuoco la "Città Martire"
Nostro servizio
  

"A nome del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, vi chiedo scusa per quanto qui è successo e che è stato relegato ai margini dei libri di storia".
Con queste solenni e forti parole il presidente del Comitato dei Garanti delle Celebrazioni del 150 anniversario dell'Unità d'Italia, Giuliano Amato, già presidente del Consiglio dei Ministri nei primi anni Novanta e protagonista della vita italiana nel decennio precedente, ha fatto ammenda per i tragici fatti di Pontelandolfo del 14 agosto 1861 allorché un reparto di 500 bersaglieri mise a ferro e a fuoco la cittadina causando un numero ancora imprecisato di vittime civili.
La riappacificazione tanto invocata dalla "Città Martire" di Pontelandolfo, richiesta più volte dallo stesso sindaco Cosimo Testa e dai suoi predecessori, è avvenuta finalmente alle 19.40 di 150 anni dopo nella piazza Concetta Biondi davanti ad una grande folla che attendeva con ansia questo momento.
Amato è stato chiaro: quel massacro fu ordinato esplicitamente e formalmente documentato nella persona dal generale Cialdini, comandante delle forze di repressione del brigantaggio, ed attuato da colonnello Negri, cioè in pratica dalle autorità del Regno d'Italia, costituitosi appena cinque mesi prima, per rappresaglia ad un precedente attacco di un gruppo di briganti contro 40 bersaglieri.
"Ma qui, a Pontelandolfo, era già Italia; quelle truppe erano italiane: un esercito non si può comportare così nel proprio paese", ha chiosato Amato.
In un discorso di tono elevatissimo, Amato ha spiegato che un popolo si divide sul futuro, come sta accadendo a quello italiano di oggi, proprio perché si è diviso sul passato, proprio perché non ha costruito una memoria condivisa sui passaggi fondanti della propria storia.
Molte furono le pagine del Risorgimento ancora oscure; bisogna dunque liberarsi da quelle macchie del passato, riconoscendo il ruolo che ebbe anche il Sud nel Risorgimento ed ammettendo che il comportamento delle truppe sabaude e dello stesso neo-nato Stato italiano fu il comportamento di truppe occupanti in un paese stranieri.
Non a caso, l'ex presidente del Consiglio ha tirato in campo il generale statunitense Petraeus, comandante delle forze Usa in Iraq dopo la seconda Guerra del Golfo, il quale invitava i suoi a non considerare tutti gli iracheni come nemici, ma a distinguere gli amici, dai nemici.
Lo stesso aveva raccomandato il deputato Giuseppe Ferrari il quale, nell'ambito delle conclusioni cui pervenne la Commissione d'inchiesta del Regno d'Italia sui fatti di Pontelandolfo del 1861, ebbe appunto a richiamare l'attenzione sul fatto che i "piemontesi" non comprendevano affatto la realtà locale e non avevano alcuno strumento, né probabilmente alcuna voglia di fare distinzioni tra la massa di "cafoni" meridionali che aveva di fronte, con ciò generando il disastro.
L'Unità fu fatta dalla Monarchia sabauda, ha detto Amato: era l'unica soluzione possibile, anche perché era l'unica accettabile dalle Cancellerie internazionali.
Cavour fu abile a realizzare il sogno mandando in avanscoperta Garibaldi.
Altri sogni, in particolare quello del Cattaneo, di un'Italia federale, non avrebbero potuto essere realizzati: "forse lo possiamo e lo stiamo facendo ora", ha concluso sul punto l'ex presidente del Consiglio.
Oggi però, ha proseguito Amato, è tempo di costruire il paese e l'Unità vera: con il consueto sarcasmo, una delle armi migliori della sua oratoria, Amato ha, infatti, detto che quando sente un dirigente della Lega Nord parlare di Padania in purissimo dialetto calabrese, ebbene allora capisce che il nostro paese si sta veramente integrando, perché i "cafoni" emigrati dal Sud si sono finalmente integrati nella classe dirigente settentrionale.
Ovviamente felicissimo il sindaco Cosimo Testa per questo riconoscimento ufficiale.
Egli ha scandito dal palco eretto in piazza Concetta Biondi, una adolescente, martire del 14 agosto, eletta a simbolo dell'Eccidio.
"Non siamo stati terra di briganti nel 1860; non vogliamo risarcimenti economici; vogliamo semplicemente che il pregiudizio nei nostri confronti sia cancellato. Abbiamo pagato un prezzo altissimo all'Unità d'Italia".
Testa ha ricordato che, distrutto il vecchio centro, i sopravvissuti furono costretti per la gran parte ad emigrare o a realizzare un nuovo centro a poca distanza: la stessa piazza Biondi non esisteva il 14 agosto 1861; in quella piazza, però, si radunarono a sera i Bersaglieri dopo il massacro, mentre ancora i corpi dei martiri bruciavano, per rifocillarsi, ma come annotò uno dei soldati quel giorno, nessuno riuscì a mangiare per la stanchezza, nonostante il bottino delle razzie fosse enorme e succulento.
Alla cerimonia, articolatasi anche in un altro momento, in piazza Raimondi, altri martiri di quel giorno, con la deposizione di una corona d'alloro ai Caduti e la consegna simbolica di un bozzetto dell'opera in bronzo che il maestro Mario Ferrante consegnerà a Pontelandolfo, su incarico della Provincia.
Già: la Provincia, che non esiste più, era rappresentata dal presidente Aniello Cimitile, il quale, nel suo discorso, rievocati i fatti del 14 agosto, e ricordato che il Sud ha patito particolarmente per il Risorgimento e per la "rivoluzione mancata", cioè per la mancata concessione delle terre ai contadini, ha sottolineato gli altri punti oscuri di quel periodo storico, ma ha anche ricordato il valore del contributo dato dai patrioti meridionali all'Unità.
Tra questi anche quelli sanniti, anche quelli di Pontelandolfo, che costruirono la Provincia ancora prima che si compisse l'Unità: per questo è assurdo scioglierla oggi, ha concluso.
Infine, Cimitile ha detto che finalmente è venuto il tempo della riconciliazione perché ormai, ha detto, la "Città martire" è diventata un "Luogo della memoria" del Risorgimento.
Di particolare intensità e di forte significato morale e civile è stata infine la presenza a Pontelandolfo, con tanto di fascia tricolore, di Achille Variati, sindaco di Vicenza, città natale del colonnello Negri, accompagnato da un suo illustre concittadino, Gian Antonio Stella, editorialista de "Il Corriere della Sera", una delle migliori firme del giornalismo italiano.
Il sindaco dal palco ha chiesto perdono per quei fatti: "lo faccio senza alcuna retorica, che è una manifestazione dell'animo che non mi appartiene". 
Testa ha aggiunto che nella situazione attuale del paese c'è bisogno della fratenrità di tutti i sindaci d'Italia e non di divisioni.
Alla manifestazione hanno partecipato, tra le autorità, il deputato, Mario Pepe, il prefetto, Michele Mazza, il questore, Alberto Intini, il comandante dei Carabinieri, Antonio Carideo, il comandante della Guardia di Finanza, Cesare Maragoni, il comandante del Corpo Forestale dello Stato, Angelo Vita, il generale dell'Esercito, Liberati; molti sindaci della provincia.
La manifestazione è stata in qualche momento disturbata da un gruppo di nostalgici dei Borbone e del Regno delle Due Sicilie che sventolavano le proprie bandiere ed hanno contestato in particolare alcune ricostruzioni storiche fatte dal presidente Cimitile.

Le foto sono di "Gazzetta di Benevento". Riproduzione vietata.

 

 

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