Giuseppe De Lorenzo (foto), ex assessore comunale alla Mobilità e responsabile del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell'Asl di Benevento, ha inviato una nota con cui ha descritto una mattinata da lui vissuta presso la sezione di Benevento del Giudice di Pace.
Nello scritto ha evidenziato, in particolare, le condizioni in cui si svolgono le udienze e lo stato in cui versano i servizi posti all'interno della sede.
Di seguito ecco quanto scrive.
"Le disavventure che il semplice cittadino quotidianamente incontra nell'odierna realtà ormai non si contano.
E' opportuno, tuttavia, non limitarsi al consueto mugugno cui siamo usi, ma sollecitare gli organi preposti a porvi rimedio al fine che altri non si trovino nelle stesse nostre condizioni. Bene.
Ieri, sono stato convocato, diventano consuetudine questi inviti per chi come me si è posto contro il potere imperante, dal Giudice di Pace della nostra città per essere escusso, quale parte lesa, su episodi verificatisi quando fui relegato in un corridoio dell'Asl.
Prima udienza dopo ben sette anni.
Già questo elemento si commenta da solo.Â
Anche se tra qualche mese il reato sarà coperto dalla prescrizione, mio malgrado, sono stato costretto ad essere presente in quanto, per un altro filone dello stesso episodio, sempre prima udienza dopo sette anni (sic!), pochi giorni fa, in piena udienza, il presidente del collegio giudicante si è accorto che un certificato presentava qualche dubbio, parliamo di dubbio per essere benevoli, ed allo stesso aveva fatto seguito un risarcimento da parte dell'Inail di diversi milioni in lire. Il che ha fatto riaprire le indagini.
Non si sa in che modo le precedenti fossero state condotte. Ma tant'è!
In un paese civile si sarebbe già dovuto procedere in ben altra forma.
Ma, dopo questa doverosa premessa, torniamo a bomba.
Alle nove, come da  invito, sono giunto puntuale nella sede del Giudice di Pace di piazza Risorgimento.
Mi trovo in un'aula in cui il caos la fa da padrone.
Una quantità considerevole di processi programmati tutti alla stessa ora.
Mi sono posto in fiduciosa attesa nella speranza che il mio avvocato e quello della parte avversa, due galantuomini, avessero speditezza nella corsa al traguardo ogni volta che un processo terminava.
Invece, niente. Galantuomini sì, ma flosci nelle gambe.
Alle 13.00, dopo quattro ore di attesa, probabilmente anche per la carica emotiva che il ricordo di quanti hanno distrutto la mia vita, salvato in extremis da un'altra procura, mi provoca ogni volta che me li ritrovo sul cammino, ho avvertito la necessità impellente di cercare un bagno.
Mi sono ritrovato in uno sgabuzzino in cui non solo l'igiene aveva il suo soverchio, ma con le serrature scardinate. La misura era colma e, ribellandomi, sono andato via.
Concludendo, è lecito chiedersi se sia impresa ardua almeno programmare le udienze ad orari prefissati senza trattare il malcapitato cittadino, che merita rispetto, nel modo più indignitoso.
Qualche mese fa, lo stesso problema è stato posto da un'associazione giuridica, non ricordo con precisione il nome, operante presso il Tribunale che ha sollevato il medesimo problema.
In qualità di medico, posso assicurare che se un cittadino si reca al pronto soccorso e non viene visitato subito o qualche consulente non giunge speditamente, sono gli stessi magistrati ad accogliere le loro denunce senza avere tentennamenti a notificare avvisi di garanzia.
Allora, perché anche loro non si adeguano al rispetto di questa basilare norma di vita?
Eppoi, rendere decente un bagno, in un luogo sì particolare, non credo sia opera di difficile soluzione.
Ma, forse, dimentico che ormai siamo nel paese delle banane.
Con l'aggravante che non ci sono più neanche le banane".
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