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Benevento, 25-12-2021 09:31 ____
La vigilia a pranzo non ci si sedeva a tavola perche' come sosteneva convinta la nonna la Madonna era in travaglio
Era alla ricerca di un riparo sicuro per partorire il Salvatore percio' per suo rispetto dovevamo esserle vicini con la mente, col cuore e soprattutto con il corpo, per cui si piluccava un po' qua e un po' la' magari osservando il nuovo calendario di frate Indovino
di Mena Martini
  

Il Natale che ricordo volentieri è quello della mia infanzia a casa dei nonni, nel basso alle spalle del glorioso Stadio "Meomartini" quando preciso e puntuale arrivava in tutte le case il nuovo calendario di frate Indovino denso di utlissimi consigli per la casa e per l'orto.
Ciò che ricordo senza alcuna gioia erano le maglie intime, marca Mamabu, di pura lana vergine col pelo che ti procuravano un fastidioso prurito 24 ore su 24 e che senza tante storie e senza possibilità di proteste eri costretta ad indossare già dalla fine di ottobre.
Sono certa di aver risvegliato arcani incubi al riguardo in tutti i ragazzini dell'epoca che oggi hanno la mia stessa età e che sicuramente ricorderanno quell'effetto "fustigato" impresso sulle nostre carni.
Ma veniamo a noi.
In prossimità delle feste natalizie, mia nonna portava a casa l'occorrente per la mensa delle feste. Innanzitutto un fascio enorme di cardo che per renderlo commestibile necessitava di un lungo lavoro da parte delle donne di casa.
Una dopo l'altra, si staccavano le coste che venivano sfilacciate, pelate, scorticate e infine, con le mani che si erano tinte di un nero molto intenso, venivano ridotte a piccoli tocchetti.
Sciacquato numerose volte, veniva fatto riposare in acqua fresca e limone per poi lessarlo pronto per essere cucinato con un procedimento lento e paziente per il giorno di Natale.
Per la vigilia a pranzo non ci si sedeva a tavola perché, come sosteneva convinta la nonna, la Madonna era in travaglio e ancora alla ricerca di un riparo sicuro per partorite il Salvatore perciò per suo rispetto dovevamo esserle vicini con la mente, col cuore e soprattutto con il corpo, per cui si piluccava un po' qua e un po' là.
Innanzitutto si impastavano le zeppole che per l'ora di pranzo venivano fritte, leggermente salate in superficie e lasciate in un enorme piatto antico della nonna per essere mangiate al volo.
Per friggerle si usava una vecchia ed ampia padella di rame a due maniche, l’unica che la nonna riuscì a salvare quando in tempo di guerra le famiglie furono obbligate a donare alla patria non solo le fedi d’oro ma anche gli utensili in rame necessari per costruire i cannoni.
La frittura delle zeppole era uno spettacolo che non volevo mai perdermi perché per me aveva qualcosa di magico.
Infatti, l'impasto semi liquido veniva prelevato con un cucchiaio e al contatto con l'olio bollente si trasformava in una bella frittella dai bordi irregolari con ricciolini, virgole e prolungamenti affusolati.
Nonostante mia zia in malo modo mi invitasse ad allontanarmi dalla fiamma e dall’olio bollente per preservare la mia incolumità messa in serio pericolo nel minuscolo cucinino del nostro basso, io resistevo alle minacce perché mi piaceva dare una forma ad ogni zeppola, tipo il serpentello, la ranocchia, la coda del gatto, il ragno e così via.
Un'enorme "scella di baccalà" quattro o cinque giorni prima della vigilia veniva tagliata a pezzi e dissalata con cambio regolare di acqua.
All'epoca il baccalà era il pesce dei poveri e non aveva il costo astronomico di oggigiorno.
Infatti, mia madre negli ultimi anni della sua vita diceva che ormai lo si sarebbe dovuto chiamare "don baccalà".
Oltre ad essere infarinato e fritto, se ne lessava un bel pezzo per la preparazione dell'insalata di rinforzo con l'aggiunta di cavolfiore lesso, peperoni sott'aceto tagliati a listarelle, cipolla rossa, sedano e olive verdi.
I peperoni sott'aceto dovevano fare da contorno al baccalà fritto, per cui venivano imbottiti con mollica di pane raffermo, aglio tagliato finemente, capperi, prezzemolo e pomodorini freschi ed infine fritti.
Inoltre, in quell'olio venivano anche soffritte le scorze del pane raffermo che prendevano il sapore del peperone e dell'aceto.
La sera della vigilia la nonna tirava fuori dal cassettone la tovaglia bianca di fiandra di lino finemente arabescata, quella delle grandi occasioni e si apparecchiava per la cena.
Il primo piatto era spaghetto con le vongole ma non quelle veraci di allevamento che da qualche decennio troviamo al mercato, ma i semplici lupini, e poi tutto il resto.
Sulla tovaglia, che mostrava i segni di letterine per il papà piene di buoni propositi e grondanti di brillantini dorati, comparivano i mandarini, le noci, le castagne del monaco e a volte i datteri, frutti esotici provenienti da terre lontane e desertiche, retaggi di quella politica espansionistica e colonizzatrice del ventennio fascista.
La sera della vigilia di natale, dopo la cena si giocava a tombola con l’acquisto delle cartelle a 5 lire ognuna, raramente a 10 lire perché qualcuno cominciava ad allarmarsi in quanto, a suo dire, si stava sfiorando il gioco d'azzardo.
Tutto si concludeva a mezzanotte col posizionamento del bambinello nella capanna accompagnato dalla canzoncina "Tu scendi dalle stelle".
La mattina di Natale, all'alba le donne di casa già trafficavano in cucina per preparare il famosissimo cardone o come qualche vicina fanatica in vena di darsi delle arie amava chiamare in modo altisonante "zuppa santè".
Si tirava fuori un enorme pentolone di alluminio e si cominciava con la preparazione di un sostanzioso brodo di gallina.
Il brodo veniva pulito e filtrato e si aggiungeva il cardo lessato, le polpettine, una stracciatella e infine un'abbondante manciata di pinoli, non quelli che oggi si comprano comodamente in bustina al supermercato belli e pronti ma quelli contenuti nelle pigne.
Quel favoloso frutto resinoso e profumatissimo si buttava nel braciere e col calore si apriva affinché da quei petali legnosi si potessero estrarre i pinoli protetti da un bozzolo altrettanto legnoso.
Un lavoraccio che a turno le donne di casa erano chiamate a fare anche perché se la pigna era ancora bollente e ti scottava le dita, facilmente la si poteva lavorare altrimenti bisognava lavorare di martello. Il cardone veniva preparato in quantità industriale per cui nei giorni successivi al Natale e fin quasi a capodanno se qualcuno in vena di spiritosaggini chiedeva cosa ci fosse da mangiare, con ovvietà e con quello sguardo severo come se avesse azzardato una bestemmia, si rispondeva: cardone.
Auguri di buon Natale e buona salute a tutti.

comunicato n.146140




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