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Benevento, 11-08-2019 09:10 ____
Difficile e complicato il ricorso a mediazioni in una democrazia avvelenata dal disconoscimento e delegittimazione reciproca delle forze politiche
E' invischiata ancora nelle sabbie mobili di una transizione istituzionale apertasi alla fine degli anni Ottanta e mai terminata. Vincenzo Baldini, ordinario di Diritto Costituzionale, commenta l'attuale situazione politico-istituzionale
Redazione
  

Vincenzo Baldini (foto) Ordinario di Diritto Costituzionale al Dipartimento di Economia e Giurisprudenza all'Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale, direttore Laboratorio dei diritti fondamentali e direttore scientifico della Rivista telematica "Diritti fondamentali", ai lettori di "Gazzetta" propone una sua riflessione sull'attuale situazione politico-istituzionale.
"Alla fine - scrive - il giocattolo, fragile sin dall’inizio, sembra essere andato in frantumi e le schegge impazzite si spargono ovunque.
Una prima scheggia comprende la dichiarazione televisiva del presidente del Consiglio dei Ministri dello scorso 8 agosto che ha preannunciato l’imminente apertura della crisi di governo.
Nella circostanza, lo stesso presidente spogliandosi per qualche minuto del suo ruolo istituzionale non si è limitato alla stretta comunicazione istituzionale ma indossando i panni (per lui non congeniali) dell'uomo politico, ha dichiarato che è il ministro dell'Interno del "suo" Governo la causa dell'imminente crisi e di ciò quest'ultimo avrebbe assunto ogni responsabilità davanti agli elettori.
Se, dunque, sembra volgere al fine l'anomala esperienza della cosiddetta "pre-crisi" (per riprendere la definizione di Michele Ainis) l'apertura della crisi di governo impone qualche considerazione di ordine politico-costituzionale.
Non sappiamo ancora se sarà una crisi extraparlamentare (il presidente del Consiglio dei Ministri prende atto che è venuta meno la maggioranza politica a sostegno dell'Esecutivo e, senza attendere alcun voto di fiducia, rimette “spontaneamente” il proprio mandato nelle mani del presidente della Repubblica) o se invece il presidente del Consiglio dei Ministri vorrà in Aula contare i voti ufficiali che segnano la sfiducia al suo governo.
Nella dichiarazione televisiva richiamata, lo stesso presidente del Consiglio ha preannunciato la massima trasparenza nelle dinamiche di apertura della crisi, ciò lascerebbe supporre dunque che possa optare per la sua parlamentarizzazione con conseguente calendarizzazione dei lavori parlamentari (fissazione della discussione della mozione di sfiducia da parte del presidente di Assemblea parlamentare, voto, quindi salita al Colle per riferire al capo dello Stato e sancire l'apertura della crisi).
Allo stato, tuttavia, non sarebbe ancora da escludere del tutto la possibilità di dimissioni "spontanee" (evitandosi così, almeno in via di principio, discussione e voto parlamentare) per accelerare le procedure che potrebbero portare, in fine, allo scioglimento anticipato delle Camere.
Nello svolgimento di tali procedure, ad ogni modo, non c'è nulla di scontato o di facilmente prevedibile, sul piano costituzionale.
Come bene spiega Pasquale Costanzo in un recente editoriale, la crisi di governo è rimessa in ogni aspetto riguardante la sua soluzione all'apprezzamento del capo dello Stato e non di singoli ministri.
Lo scioglimento anticipato delle Camere, in particolare, "non è stato predisposto, nel nostro sistema parlamentare, per "capitalizzare" almeno direttamente, come viene affermato, alcunché".
Spetta, dunque, al solo presidente della Repubblica il compito di risolvere la crisi di governo e verificare se ci fossero, eventualmente, le condizioni per il prosieguo della Legislatura in corso.
Al termine del rituale giro di consultazioni delle forze politiche, sarà lo stesso presidente della Repubblica ad adottare la soluzione più ragionevole sul piano costituzionale, che potrebbe anche essere quella di formare un nuovo governo qualora emergessero le reali condizioni per la formazione di una nuova maggioranza parlamentare.
Le alternative potrebbero essere quelle della composizione di un Governo "tecnico" o di lasciare in carica l'Esecutivo dimissionario per il disbrigo degli affari correnti, fino alla convocazione delle nuove Camere (dunque, lasciando allo stesso governo-Conte la gestione della fase elettorale) dopo lo svolgimento delle elezioni politiche.
Nell'ipotesi di un imminente passaggio elettorale, a questo punto tutt'altra che peregrina, non può omettersi di considerare che il sistema elettorale vigente rende anche per il futuro difficilmente ipotizzabile un risultato da cui emerga l'esistenza di una chiara maggioranza parlamentare.
Pur senza escluderlo formalmente in partenza, è poco ragionevole crederlo, considerandosi il funzionamento dei vigenti sistemi elettorali (di Camera e Senato).
Ridonda nella retorica politica l'auspicio del singolo partito di ottenere, con questi sistemi, la maggioranza assoluta in Parlamento per costituire un Esecutivo di legislatura libero da compromessi e adattamenti.
La democrazia, per essere reale e non degenerare nella mera apparenza, ha bisogno di misurarsi con un pluralismo ragionevolmente praticabile di strategie politiche, nell’ambito delle quali l'elettore è messo in grado di compiere una scelta ragionevole.
Se il carattere della razionalità sostanziale (Konrad Hesse) è proprio di un tale assetto organizzativo, anche la prospettiva di alleanze politiche di governo costituisce un segmento di tale razionalità, così che sarebbe utile ad un reale percorso di democrazia deliberativa che le forze politiche ricercassero già prima del voto alleanze ed apparentamenti in grado di conferire credibilità reale al proprio progetto e ne rendessero consapevoli gli elettori che così potrebbero decidere liberamente e consapevolmente a quale progetto prestare il consenso.
Qui tuttavia si svela la disfunzione patologica della nostra democrazia invischiata ancora nelle sabbie mobili di una transizione istituzionale apertasi alla fine degli anni '80 e mai terminata, avvelenata dal disconoscimento e dalla delegittimazione reciproca delle forze politiche in campo che rende difficile e complicato il ricorso a mediazioni ed a soluzione di compromesso.
Ne costituisce esempio la veemenza con la quale alcuni esponenti del Pd si sono già ora affrettati a ripudiare ogni alleanza, presente e futura, con il M5S, senza provare a rendersi disponibili per un confronto su piani e programmi.
Tanto, a ben vedere, può comportare, in ultima analisi, un’erosione del confronto democratico nella misura in cui può mettere di fatto fuori dal gioco di governo (data la loro repellenza a stipulare alleanze politiche) partiti che molto verosimilmente non otterranno, con questi sistemi elettorali, il consenso necessario per governare in perfetta e beata solitudine.
Una più generale riflessione che questa imminente crisi di governo sollecita attiene, in fine, al ruolo che la Costituzione ha avuto nell’esperienza di questa attività di governo.
Se, infatti, è indubitabile l’esistenza di una relazione funzionale tra metodo (di interpretazione) e teorie della Costituzione, è del pari ovvio che una siffatta relazione sottenda la stessa attività di indirizzo politico di maggioranza.
Occorre chiedersi allora che idea di Costituzione questa maggioranza politica ha mostrato di avere.
Se si considera quanto finora fatto in termini di decisioni legislative adottate, ad esempio, in materia di controllo dell’immigrazione, sicurezza e ordine pubblico, non è peregrino ritenere che per nessun componente del Governo (meno che mai per il presidente del Consiglio dei Ministri) la Costituzione abbia rappresentato la cornice ordinamentale essenziale entro cui lasciarsi svolgere i processi politici, né che la stessa figuri quale stigma dell'identità di uno Stato e di una comunità.
Tali decisioni, a ben vedere, rivelano, se non proprio un dispregio, una concezione bagatellare dei principi e valori che integrano la Carta repubblicana del '48, una "incultura" della dignità umana come degli altri diritti fondamentali della persona, di ogni persona (si pensi, ad esempio, alla perdita di cittadinanza come sanzione accessoria per i soli immigrati “regolari”, in caso di commissione di determinati reati).
Anche il monito espresso nella comunicazione inviata ai presidenti delle Assemblee parlamentari ed al presidente del Consiglio dei Ministri, di accompagnamento alla promulgazione della legge di conversione del decreto legge 14 giugno 2019, numero 53 recante: "Disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica" è un severo richiamo al rispetto dello Stato costituzionale di diritto, di cui l'osservanza del diritto internazionale è parte integrante e che nessuna decisione parlamentare può eludere.
Si è assistito, insomma, ad un corto circuito tra Costituzione e legislazione ordinaria, ovverossia tra la decisione costituente di una forma di Stato che mette al centro dell'interesse la persona come tale ed un'azione politica che urta in modo evidente e pericoloso con il senso e la natura propria della Carta costituzionale italiana e con il diritto europeo (oltre che con il diritto internazionale consuetudinario e pattizio).
L'Esecutivo che verrà, soprattutto se farà seguito ad una competizione elettorale, deve preoccuparsi innanzitutto di orientare la propria azione al recupero di quell'identità costituzionale che è apparsa seriamente compromessa dalle decisioni di questo Governo.
La futura progettualità politica, di qualunque parte sia, per attendere al consenso sociale e risultare, finalmente, credibile dovrà muovere dall'osservanza e dal rispetto dei valori, principi e diritti di cui la Costituzione si compone.
Una strutturale collisione tra diritto e politica costituzionale, per un verso, e indirizzo politico di maggioranza per altro verso, implica, infatti, il grande rischio di una delegittimazione della stessa Carta fondamentale e dei limiti ultimi che essa impone all’esercizio del potere politico, tanto più poi quando si invochi, a fondamento di singole scelte legislative, la volontà sovrana del popolo.
La retorica della democrazia reale, sovente, costituisce la forma più sottile di erosione dei valori costituzionali e, così, del modello stesso di stato costituzionale di diritto.
Dignità umana, diritti fondamentali della persona (articolo 2 e seguenti), principio di eguaglianza (articolo 3), doveri di solidarietà economica, politica e sociale (articolo 2), apertura al diritto comunitario ed internazionale (articoli 10 e 11) rappresentano i cardini di tale modello, punto di partenza e di arrivo di ogni azione politica di maggioranza, che è chiamata a renderli concreti.
Ai partiti spetta, in conclusione, il compito di confermare e rilanciare tale modello, elaborando nell'espressione della politica nazionale (articolo 49 Costistuzione) proposte coerenti con la consistenza costituzionale del nostro Paese, continuando, insieme agli altri partner europei, a lavorare per la costruzione di una Unione europea, paladina dei diritti di libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell'uomo.
Tanto basta, a giustificare l'auspicio di un risoluto e deciso cambiamento della rotta ad oggi seguita dall'Esecutivo e dall'attuale maggioranza parlamentare".

comunicato n.124601




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